Tutto parte da una recente e inaspettata ristampa della soundtrack di Ad Ovest Di Paperino. Gli appassionati di cinema, e non solo, dovrebbero conoscere un film parecchio sui generis come questo. I pezzi, ascoltati più volte, hanno poi lasciato in me la curiosità di approfondire il discorso col regista. Con un po’ di audacia mista a fortuna, e la massima disponibilità di Alessandro Benvenuti stesso, è venuta fuori questa chiacchierata via mail della quale siamo particolarmente orgogliosi. Le foto sono pubblicate per gentile concessione di On Records Japan. Buona lettura.
Grazie Alessandro per aver accettato l’intervista. Partiamo dal disco, che rivede la luce grazie alla On Records Japan di Leonardo Marrone, e va a colmare un vuoto, visto che era fuori catalogo da tempo (si trova in vinile in poche copie e a cifre esorbitanti). Come è nata l’idea di ripubblicarlo?
Alessandro Benvenuti: Il merito è tutto di Leonardo, personalmente ho solo assecondato con entusiasmo la sua iniziativa. C’è una leggenda metropolitana intorno al vinile dei The Colla: all’epoca ne furono stampate diverse centinaia di copie che furono mandate al macero dopo che l’ascolto del master aveva suscitato un notevole (apparente con il senno di poi) entusiasmo nei distributori della CGD. Un centinaio di queste copie, ad esempio, giunsero in un solo negozio di Firenze e furono acquistate in blocco da un pubblicitario che ne volle fare il dono natalizio per i clienti della sua agenzia. Vendute quelle copie tutte in una volta, nessun altro LP ricomparve negli scaffali di quel negozio. Strano, non le pare? Nelle altre città e negozi d’Italia non c’è testimonianza che avalli l’ipotesi che vi siano arrivate copie. Perché accadde questo io proprio non lo so. Logiche di mercato? Quali? Per tale motivo l’LP è diventato una chimera per tanti (non troppi) collezionisti. So di uno di questi che ha comperato il vinile a 270 euro.
Rivedendo il film si ha la netta impressione che le musiche siano le vere protagoniste della pellicola, certo è importante la vostra presenza, però la prima riflessione che ne ho ricavata è stata proprio quella (anche il continuo apparire dei manifesti dei The Colla per le strade di Firenze dice più di qualcosa…).
Spero non sia così sul serio. Anzi, così non è… ma potrebbe anche essere, perché no. Quello che c’è da dire è che la creazione delle musiche, registrate a casa di Stephen Head da lui stesso, Dado Parisini e da me, con l’aggiunta di altri amici musicisti tra i quali Tony Sidney, all’epoca chitarrista dei Perigeo e coautore di “Delicious Apple From Romagna”, fu sicuramente una delle cose, se non la cosa, più divertente e creativa dell’intera lavorazione del film. Durante le riprese il gruppo visse infatti il trauma della rottura del rapporto artistico, e questo dopo appena due settimane dall’inizio della lavorazione. Quindi finirlo di girare fu per me una fatica e un dolore che non avevo certo immaginato di vivere in un momento così bello della nostra carriera artistica. La casa di Stephen, con i suoi panorami, i suoni della natura e i colori del cielo, fu davvero il luogo dove vivemmo il sogno del cinema che ci stava capitando di vivere.
Perché The Colla? C’è qualche significato recondito?
Decolla, la colla. Qualcosa ti manda in volo nei cieli, la stessa cosa ti appiccica alle cose, qualunque esse siano. In e out. Vado o resto. Sì o no. Semplice, no?
Come è nata l’idea della band? Il sodalizio con Dado Parisini e Stephen Head c’era già prima oppure il tutto è stato concepito solo per il film?
Dado, come spesso diceva Athina Cenci, era le mie mani sul pianoforte. Lui ed io eravamo un tutt’uno. Come Lennon & McCartney. Non scherzo. Eravamo capaci di scrivere una canzone in cinque minuti d’orologio. Lui sapeva la musica, io no, sapevo le parole che però mettevo giù cantandole, e Dado mi seguiva e le stendeva in musica. Sembra riduttivo per lui, ma all’inizio fu così. Era anche una forma di protezione nei suoi confronti. Io ero il maggiore e lui il fratellino minore talentuoso ma sperperatore del suo talento. Fui io a costringerlo a registrare su cassetta le sue improvvisazioni pianistiche, che a volte erano dei brani incredibilmente belli. Ma siccome non li scriveva su pentagramma andavano persi dopo il primo ascolto. Allora lo costrinsi almeno a registrarli. Solo che lui girava la cassetta e poi la rigirava e la rigirava ancora anziché cambiarla, e i pezzi suonati prima finivano sepolti sotto i successivi… Non so quando abbia imparato a tenere tutto il suo suonato, so solo che quando l’ha fatto è diventato un gran musicista, un grande arrangiatore e produttore di gente davvero molto importante. Stephen invece era un mago dell’elettronica. Il primo a Firenze, che io sappia, ma forse uno dei primi in Italia. Un alchimista dei suoni. Un umorista nato, mentre Dado era un bel tenebroso… io ero un comico belloccio… quindi eravamo un gran bel trio. A noi si aggiunse poi Nik Cola Contini al basso, un altro giovane talento, e la band dei Giancattivi era fatta. Il nome The Colla nacque per il film, ma la band ci seguiva in tournée. Quindi il tutto era nato da tempo. In “Ad Ovest di Paperino” quell’esperienza produsse, com’era logico, il suo frutto più maturo.
Alcune canzoni sono davvero particolari (“Delicious Apple From Romagna”, o il cantautorato un po’ sghembo di “Marta”). Penso pure alla suite elettronica di “Pigeons”, tutto fuorché un pezzo datato, secondo me. Dico questo visto che molti di quei suoni e, va da sé, la produzione della soundtrack, sembrano molto legati a quegli anni…
La forza del cd (già LP) sta tutta nella sua disincantata originalità. Non c’è nessun film comico italiano che abbia prodotto una tale varietà musicale nella sua colonna sonora. Questo anche perché ebbi l’idea che la colonna sonora doveva essere fornita alla storia da una radio libera (all’epoca si poteva ancora dire), che era poi Radio Ketchup, dove appunto lavora il personaggio da me interpretato. Fu questa idea che dette il via all’intero esperimento musicale. Ma fu soprattutto il fatto che le nostre tre anime artistiche solo così potevano sposarsi senza traumi, ma portando solo cose buone.
In linea di massima si evince che Alessandro Benevenuti è – ed è tuttora, immagino – un grande appassionato di musica. Con cosa è cresciuto e cosa ascolta ancora oggi?
Ascolto di tutto. I miei preferiti sono quelli bravi ed originali. Non farò nomi, anche se passo da Ligeti a Mozart, dai Coldplay a De André, da Conte a Bach, da Marlene Dietrich a Mina, da Battiato a Hendrix, da Wendy (già Walter) Carlos ai Beatles… non farò nomi dunque, dirò solo che il mio faro più divertente è sempre stato, da quando l’ho conosciuto, Frank Zappa. Ma fatto il suo nome, che resta per me quello di un parente, ripeto, ascolto davvero di tutto, dal jazz al folk, dall’elettronica all’acustica, basta che abbia un senso, che spicchi il volo e faccia volare chi ascolta.
Questa ristampa può ridare quella visibilità che “Ad Ovest Di Paperino” (per chi non lo sa già, Paperino è una frazione del comune di Prato) all’epoca magari non ha avuto? Fu un film che ebbe un certo successo o passò inosservato? Io nell’82 avevo appena sei anni…
È diventato nel tempo un film di culto. All’epoca riprese ampiamente i soldi investiti per realizzarlo, quindi nessun pentimento da parte di chi lo produsse e distribuì. Un po’ danneggiò il film il fatto che fosse un prodotto che spingeva i Giancattivi al di là di quello che la gente si aspettava da noi. Ma io non sono mai stato consolatorio o confortante nei confronti del pubblico. In più la rottura fra Athina e me da una parte e Nuti dall’altra, fece sì che le attenzioni del produttore e dei distributori si concentrassero su Francesco, che venne ritenuto (e debbo dire a ragione) un prodotto molto più commerciabile di quanto non fossi io e un po’ anche Athina, che però successivamente avrebbe smentito questa tesi partecipando a film di grande successo e mietendo (come Nuti) premi su premi.
So che oltre alla ben nota carriera cinematografica, teatrale e televisiva, è appunto un musicista. Ha anche pubblicato dei dischi a suo nome. Soddisfatto del risultato? Pensa di continuare anche per questa strada?
Sì. Non ho mai scalato le classifiche di vendita, non penso di essere nato per simili imprese, ma faccio della musica che per me ha un grande valore, e mi conforta sentir dire da chi l’ascolta che non se l’aspettava da me. Diciamo che mi muovo per più talenti, è la mia natura che mi porta sempre di traverso alle cose. Sono molto fiero di questo, mi stimo per questo. Molto… anzi, diciamo il giusto.
Un’ultima curiosità: nel film si fa riferimento alle radio libere (interpreta uno speaker che lavora nella fantomatica Radio Ketchup), alle droghe, anche alla disoccupazione in fondo (con Athina Cenci e Francesco Nuti bighellonate allegramente, anche se non manca un velo di tristezza nei vostri volti…). Cosa è rimasto di quel periodo ora? E come vede la società di oggi dopo tutte le esperienze passate?
Oddio, l’ultima domanda è sempre la peggiore per chi deve rispondere. Di quel periodo sono rimasto io. Dentro di me non mi sono mai perso e mi ritrovo infatti tutte le volte che voglio. Del periodo di ora non vale la pena parlarne. Si può solo sperare che questo orrore abbia fine in un modo o nell’altro. L’italiano in sé e in quanto tale ha raggiunto ormai un tale livello di schifo che potrebbe fare (e lo fa) e accettare (e lo accetta) qualunque livello di bassezza morale, comportamentale, culturale, sociale e mi fermo qui perché sono molto stanco per tutto il precipitare in basso che vivo dagli anni Ottanta in poi, da quando cioè cominciò il riflusso, o se preferisce l’epoca dei nani e delle ballerine, o se preferisce l’impero dell’apparenza, o se preferisce la stagione in cui la politica si mischiò con lo spettacolo e lo spettacolo divenne prima la morte della politica, e poi la morte dell’Italia intera. Adesso andiamo pure a pregare sulla tomba dell’intelligenza, se si crede in qualcosa… o sennò la domenica, per chi cerca risposte in cielo, c’è sempre piazza San Pietro, dove a volte tira vento e a volte piove, e a volte, per fortuna di chi ha fede, c’è anche un po’ di sole. A me la domenica, a quell’ora, mi tocca portare fuori i cani… e quasi mai lo faccio volentieri.
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