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Alessandro Vetuli: Aiutami. Qui è tutto uno stridere

Da Narcyso
15 gennaio 2014

Alessandro Vetuli, IN (DIFESA) UMANA, La vita felice 2013

Brindisi: il 19 maggio 2012, alle 7.42, davanti all’Istituto Statale Professionale per i Servizi Sociali Francesca Laura Morvillo Falcone, esplode un ordigno: muore Melissa Bassi di sedici anni, gravissima una sua compagna, Veronica Capodieci. (L’autore nelle note)

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Nessun libro che vuole considerarsi civile, può considerarsi tale se non raggiunge, forse più di altri, una compiutezza saldissima della forma.
Ne sembra essere cosciente l’autore, in versi come questi: “Che cosa vieni a chiedere alla poesia?”. p. 25, domanda a cui fanno seguito una serie di componimenti in forma di dialogo tra le vittime, il carnefice e il poeta. Per esempio il carnefice: “Aiutami. (…) / C’è qualcuno dentro di me / che massacra le tegole della mia casa / e ogni ramoscello che colgo lo spezza”, pag. 26.
Per esempio le vittime: “Chi è questo ragazzo che scrive di noi? // Quest’uomo che separa il silenzio dalle parole, / le ombre dalla luce?// Che almeno i poeti non ci lascino bruciare “, pag. 40. “Quanti anni hai tu, / che mi vuoi poggiare tanta vita sulle labbra / e non smetti di scrivere?”, p. 41.
Detto con la massima naturalezza possibile: il mondo interroga la poesia, vuole una voce, un canto. È chiaro che la poesia non è la cronaca nuda e cruda dei fatti – si può fare cronaca pensando di fare poesia o viceversa ma questo non risolve la questione – In questo libro la poesia non rinuncia alla “bellezza”, che altro non è se non la forza che indirizza la freccia dritta al suo scopo, e si possono citare molti esempi:

Traccia luce
su questi cerchi d’ombra
con il compasso della vita
puntato al centro del petto.

Traccia vie d’uscita per i miei genitori
su quest’ombelico.
Un imbuto morso dalle fiamme,
dove mia madre all’inizio versò il suo parto
e alla fine versò i suoi baci.

p. 42

È una richiesta della vittima al poeta; non gli chiede di risolvere l’offesa col tribunale delle parole. Gli chiede parole necessarie alla proclamazione della vita, malgrado si dica più avanti, ” la disidratazione, la sete / le bombole di gas, gli estintori / le esplosioni, le implosioni”, p.72. Perchè “la morte è più anziana: / col poco fiato che ha / spinge sull’altalena la vita”, p. 60

Alessandro Vetuli cita poeti che sicuramente interpretano la realtà baipassando il dato cronachistico, estrapolando il senso ultimo della nostra insignificanza epistemologica; Mariangela Gualtieri, Milo De angelis, Paolo Donini. Di questi poeti egli, mi sembra, sappia cogliere la forza della parola, delle immagini allucinate, del richiamo a una compiutezza, infine. Per esempio, citando Donini, un autore che ho contribuito, insieme a pochi altri, a scoprire e conoscere – un solo verso, “la solitudine del bene” – egli è cosciente del dato di conseguenza quando la parola rinunci a dire: e cioè l’ablazione, la cancellazione delle prove, perfino del nome, che è l’ atto più assoluto della negazione del dato di realtà.
In che modo Alessandro Vetuli prova a risolvere l’irrisolto conflitto tra la solitudine del poeta, la sua insignificanza sociale e l’enormità, ormai irrapresentabile del dato? Innanzitutto avendo ben presente un oggetto, il dato, appunto. Non l’angoscia della pagina bianca, la pagina bianca assunta a musa e causa, assai spesso, di scritture sofisticate ma fasulle, ma un dato di realtà in grado di smuovere, quindi di portare la parola lontana dalla propria immobilità. Poi la coscienza della domanda, assai pressante, soprattutto se non venga direttamente da se stessi, sulla funzione della poesia – ne abbiamo già citate alcune di queste domande -. E poi il tema della commozione, uno dei più censurati in poesia, come se delle lacrime occorra vergognarsi, e invece, dice Alessandro Vetuli, “Nelle lacrime / non ci sono errori di pronuncia o accenti.”, p. 56
In ultima istanza, e questo è veramente un tema che attraversa molti libri di questi anni, spesso anche in funzione polemica, penso alle opere di Vincenzo Di Maro, Corrado Bagnoli, Nino Jacovella, Massimiliano Dammaggio, il tema della riattivazione di un Noi, di una Comunità, di un Coro, dunque, che condivida, che partecipi ai riti e non lasci sola la vittima.

Io ci chiamo Noi
perchè è il Noi degli studenti
È il Noi dei ragazzi, è il Noi degli umani.

p. 76

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