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alessia e michela orlando: DISEGNI NON OSCENI-VALUTAZIONI FUORI SCENA-FREUD-IL MOSE'

Creato il 11 agosto 2010 da Gurufranc

alessia e michela orlando: DISEGNI NON OSCENI-VALUTAZIONI FUORI SCENA-FREUD-IL MOSE'

DISEGNI NON OSCENI-VALUTAZIONI FUORI SCENA

In: Leonardo da Vinci-Il Mosè di Michelangelo

MENTI/DINAMICHE

Newton Compton Editori

Scrive Freud: Devo dire che non sono un intenditore d'arte, ma soltanto un profano. Ho spesso notato che il soggetto delle  opere d'arte mi attrae più fortemente delle caratteristiche formali e tecniche, sebbene per l'artista il loro valore risieda soprattutto in queste ultime. Non sono in grado di valutare opportunamente gran parte dei metodi impiegati e degli effetti ottenuti in arte. Faccio queste affermazioni per assicurarmi l'indulgenza del lettore per il tentativo che intendo porre in atto.

Ciò che intende fare Freud è: mettere mano a Opere tanto belle che sono e resteranno enigmi assoluti, tanto da non potersi cogliere dove risieda l'essenza stessa della bellezza. Pertanto: Noi le ammiriamo, ci sentiamo intimidite da esse, ma siamo incapaci di dire che cosa rappresentino per noi.[…] Secondo me ciò che fa così fortemente presa su di noi può essere solo l'intenzione dell'artista, nella misura in cui egli è riuscito ad esprimerla nel suo lavoro e a farcela comprendere. Mi rendo conto che questa non può essere semplicemente una faccenda di comprensione intellettuale; egli mira piuttosto a destare in noi lo stesso atteggiamento emotivo, la stessa costellazione mentale che ha prodotto in lui l'impeto creativo. Ma perché l'intenzione dell'artista non dovrebbe poter essere comunicata e compresa attraverso le parole, come qualunque altro fatto della vita psichica? Forse per quanto riguarda le grandi opere d'arte questo non è assolutamente possibile senza l'applicazione della psicoanalisi.

Prima di procedere oltre, fa due esempi: il capolavoro di Shakespeare, Amleto, un dramma del 1602, che, quando scrive Freud aveva ormai più di tre secoli. Confessa di aver seguito la letteratura psicoanalitica e di condividerne la conclusione: …il mistero del  suo effetto fu spiegato solo dopo che la psicoanalisi aveva fatto risalire il materiale della tragedia al tema edipico. Ma, precedentemente, quale massa di tentativi interpretativi diversi e contraddittori, quale varietà di opinioni sul carattere dell'eroe e sulle intenzioni del drammaturgo! Shakespeare chiede la nostra comprensione per un uomo malato, per una debole creatura intellettuale, o per un idealista che è semplicemente troppo buono per il mondo reale? E quante di queste interpretazioni ci lasciano indifferenti!

La seconda Opera di cui si occupa: la statua marmorea di Michelangelo: Mosè (eseguita tra il 1512 e il 1516).

Si tratta del frammento di un progetto ben più ampio: la tomba di Giulio II. Si trova a Roma, nella chiesa di San Pietro in Vincoli: Mi fa sempre piacere leggere una frase elogiativa di questa statua, come quella che la definisce «la corona della scultura moderna» (Grimm). Infatti nessuna altra statua ha prodotto in me impressione più forte. Quante volte ho salito le ripide scale che dalla brutta via Cavour portano alla piazza solitaria dove si trova la chiesa deserta, ed ho cercato di sostenere l'irato sprezzo dello sguardo dell'eroe! A volte sono uscito furtivamente dalla semioscurità dell'interno come se io stesso appartenessi alla folla verso la quale è rivolto il suo sguardo – la folla che rifiuta ogni convinzione, che non fede né pazienza, e che si rallegra quando recupera i propri idoli illusori.

Ma perché dico che questa statua è impenetrabile? Non c'è il minimo dubbio che rappresenti Mosè, il Legislatore degli Ebrei, con le Tavole dei Dieci Comandamenti.

  

Per Freud è l'unica certezza. E infatti: Nel 1912 un critico d'arte, Max Sauerland, ha detto: «Nessun'altra opera d'arte al mondo è stata giudicata in tante maniere diverse come il Mosè con la testa di Pan. Perfino la semplice interpretazione della figura ha suscitato opinioni del tutto contrastanti...».

Documenta le incertezze accludendo le considerazioni di studiosi come Justi, Knapp, Thode, Knackfuss; dichiara di non aver nulla da obiettare alla spiegazione di Thode (Michelangelo aveva in mente di realizzare sei statue con figure umane sedute, in fila, in pose tipiche della natura umana; pertanto non si poteva riconoscere particolari significati alla postura del Mosè da egli scolpito), e introduce il pensiero chiarificatore di Ivan Lermolieff, in cui si imbatté prima dell'apprendere alcunché del pensiero psicoanalitico.

Ebbene, questo studioso illuminante, aveva causato un terremoto nelle gallerie d'arte europee assumendo la inautenticità di molte opere

che erano state invece attestate con assoluta sicurezza. Quali fossero le sue modalità di indagine potrebbe sembrare addirittura banale: occorreva dismettere l'attenzione dalla sensazione di insieme che l'Opera suggeriva e dare rilevanza ai particolari. Bastò ciò per svelare la falsità di una valanga di quadri. Quali fossero i particolari marginali viene indicato dallo stesso Freud: le unghie, un orecchio, le aureole, minuzie trascurabili. Con sconcerto lo studioso scopre che non esiste nessun Ivan Lermolieff: dietro quel nome si cela un medico italiano: tale Morelli, morto nel 1891, quando era senatore del Regno di Italia. Per Freud appare evidente come il suo metodo di indagine fosse collegabile ai criteri della psicoanalisi, essendo volta a…individuare segreti dagli scarti, in un certo senso, delle nostre osservazioni.

E prosegue: Ora in due punti della figura di Mosè ci sono determinati particolari che finora nemmeno sono stati descritti correttamente. Si tratta della posizione della mano destra e delle due Tavole della Legge. Possiamo dire che questa mano forma un collegamento molto singolare, innaturale, fra le Tavole e la barba dell'eroe adirato, collegamento che richiede spiegazioni.

Egli nota come non sia vero che mentre le dita giocano con i riccioli della barba, il bordo della mano poggi sulle tavole. Nota altresì come non sia vero che le dita stesse giochino con la barba: solo uno, insolitamente, la pressa. La forma stessa assunta dalla barba viene indagata. Si pone un interrogativo: è tutto dovuto solo a un problema di linee e spazi? E quale uomo presserebbe la barba solo con un dito e a quale uomo verrebbe in mente di prenderne una parte e premerla sull'altro dito? Deduce, così, come ci sia stato un altro movimento retrocedente della mano. Conclude: siamo di fronte al Mosè che sta riposando e trasale dinanzi al popolo rumoreggiante e alla vista del Vitello d'Oro. Attraverso altre valutazioni, giunge a considerare che anche le Tavole hanno subito uno spostamento precedente, che ha costretto la mano  a indietreggiare. In sintesi, contrariamente ad altre analisi, il Mosè non è colto nel momento di scattare, adirato; bensì quando il movimento si è compiuto e lui non è scattato, non si è alzato. Questo Mosè è un uomo che non si è lasciato vincere dall'ira, come quello biblico che gettò le Tavole. A questo punto il problema è: ma Michelangelo avrebbe mai potuto avere la presunzione di modificare un testo sacro, sino al punto di modificare il carattere di un uomo considerato santo, ed essere blasfemo?

Freud cerca la spiegazione nel brano delle Sacre Scritture che descrive l'azione analizzata, la scena del Vitello d'Oro (Esodo XXXII, 7).

Nota come sia arrabattato e frutto dell'affastellamento di varie fonti. Conclude che in realtà la modifica più rilevante effettuata da Michelangelo, più che riguardare le Sacre Scritture, riguarderebbero il carattere di Mosè: aveva la propensione ad attacchi di collera; ammazzò, addirittura, un egiziano che aveva malmenato un israelita (in un trasporto di ira divina); scappò nel deserto; in un momento similare ruppe le Tavole della Legge scritta da Dio.  Michelangelo escogitata una operazione straordinaria: piega quel corpo fortissimo, lo mette sotto il controllo della mente. È la vittoria contro una passione interiore per una causa alla quale si è votato. Infine: il luogo dove il Mosè è posto. Risulta evidente il pensiero di Michelangelo: Giulio II voleva unire l'Italia sotto la supremazia pontificia. Occorreva l'unione di molte forze. Impiegò anche mezzi violenti. Apprezzò Michelangelo che pure aveva un carattere fortissimo, che lo fece soffrire spesso per la mancanza di riguardo. Le forze poste a confronto erano le stesse che emergono nell'analisi del Mosè. Ovviamente non mancò un ammonimento al papa. Così come non mancò quello a se stesso.     



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