Là mentre stavano per tornare a combattere nuovamente, furono fermati da uno spettacolo incredibile e difficile da raccontare a parole. Videro infatti le figlie dei Sabini, quelle rapite, gettarsi alcune da una parte, ed altre dall'altra, in mezzo alle armi ed ai morti, urlando e minacciando con richiami di guerra i mariti ed i padri, quasi fossero possedute da un Dio. Alcune avevano tra le braccia i loro piccoli... e si rivolgevano con dolci richiami sia ai Romani sia ai Sabini. I due schieramenti allora si scostarono, cedendo alla commozione, e lasciarono che le donne si ponessero nel mezzo.
Plutarco Vita di Romolo, 19, 1-3.
Da una parte supplicavano i mariti (i Romani) e dall'altra i padri (i Sabini). Li pregavano di non commettere un crimine orribile, macchiandosi del sangue di un suocero o di un genero e di evitare di macchiarsi di parricidio verso i figli che avrebbero partorito, figli per gli uni e nipoti per altri. [...] Se il rapporto di parentela che vi unisce e questi matrimoni non sono di vostro gradimento, rivolgete contro di noi l'ira; noi siamo la causa della guerra, noi siamo responsabili delle ferite e dei morti sia dei mariti sia dei genitori. Meglio morire piuttosto che vivere senza uno di voi due, o vedove o orfane.
Tito Livio Ab Urbe condita libri, I, 13.
ABDUCTIO DE LOCO IN LOCUM
DIZIONARIO DEI BROCARDI E DEI LATINISMI GIURIDICI
PARIDE BERTOZZI
IPSOA
DAI RATTI DEL CORPO DELLE DONNE ALLE CANZONI D'AMORE
Quante ne hanno dovuto subire le donne! E i loro corpi!
Quando ci siamo imbattute nella espressione del titolo la risata si è fatta subito fragorosa. Ci siamo insospettite: perché è accaduto? Da dove è venuta la spinta alla risata che, via via, si è fatta isterica e si è conclusa tra sospiri e scuotimenti di testa? Beh, per saperlo forse basta fare ciò che abbiamo fatto noi: avevamo solo aperto il libro DIZIONARIO DEI BROCARDI E DEI LATINISMI GIURIDICI, quarta edizione, di Paride Bertozzi, IPSOA.
Essendo un dizionario, ovviamente, si inizia dalla A. La prima espressione non ha creato grandi problemi: Ab antiquo, ovvero fin dall'antico, da gran tempo.
La seconda, invece, quella che dà il titolo all'articolo, è giunta come una rasoiata al collo nel buio totale. È necessario leggere la spiegazione e, non pretendendo che davvero qualcuno, su due piedi, vada alla ricerca del libro o indaghi nel web, trascriviamo il tutto:
Abductio de loco in locum: questa espressione, con cui si indica l'allontanamento coatto della persona dal luogo in cui si trova ad un altro, si usa a proposito del delitto di ratto, che consiste nell'impossessamento di una persona, effettuato con violenza, minaccia o inganno, a scopo di matrimonio o di libidine (artt. 522, 523, 524 c.p.). Ai fini della configurazione delle varie figure criminose delineate dal codice non è necessario che il fine di matrimonio o libidine sia realizzato.
Conoscerne il senso non dà sollievo, anzi ti fa immaginare che, ricevuta la rasoiata al collo, la testa, decisamente decollata, rotola desolatamente via e, giunta per terra, si allontana per la china; tu non puoi fare altro che dirti: oh! Sono morto…
Fa nulla se nella mente ruota qualche ritorno di antiche pagine lette, ricordi, ad esempio, dei tanti ghigliottinati durante la rivoluzione francese, che sarebbe tutto sommato morire in un buon periodo. Il problema, invece, è: ma siamo in una ipotesi tipo il ratto delle sabine?
Del ratto, di questo ratto, siamo nel periodo 59 a.C-17 d.C, scrissero in tanti. Lo fece anche Tito Livio:
Arrivò moltissima gente, anche per il desiderio di vedere la nuova città, e soprattutto chi abitava più vicino, cioè Ceninensi, Crustumini e Antemnati. I Sabini, poi, vennero al completo, con tanto di figli e consorti. Invitati ospitalmente nelle case, dopo aver visto la posizione della città, le mura fortificate e la grande quantità di abitazioni, si meravigliarono della rapidità con cui Roma era cresciuta. Quando arrivò il momento previsto per lo spettacolo e tutti erano concentratissimi sui giochi, allora, come convenuto, scoppiò un tumulto e la gioventù romana, a un preciso segnale, si mise a correre all'impazzata per rapire le ragazze. Molte finivano nelle mani del primo in cui si imbattevano: quelle che spiccavano sulle altre per bellezza, destinate ai senatori più insigni, venivano trascinate nelle loro case da plebei cui era stato affidato quel compito. Si racconta che una di esse, molto più carina di tutte le altre, fu rapita dal gruppo di un certo Talasio e, poiché in molti cercavano di sapere a chi mai la stessero portando, gridarono più volte che la portavano a Talasio perché nessuno le mettesse le mani addosso. Da quell'episodio deriva il nostro grido nuziale. Finito lo spettacolo nel terrore, i genitori delle fanciulle fuggono affranti, accusandoli di aver violato il patto di ospitalità e invocando il dio in onore del quale eran venuti a vedere il rito e i giochi solenni, vittime di un'eccessiva fiducia nella legge divina. Le donne rapite, d'altra parte, non avevano maggiori speranze circa se stesse né minore indignazione. Ma Romolo in persona si aggirava tra di loro e le informava che la cosa era successa per l'arroganza dei loro padri che avevano negato ai vicini la possibilità di contrarre matrimoni; le donne, comunque, sarebbero diventate loro spose, avrebbero condiviso tutti i loro beni, la loro patria e, cosa di cui niente è più caro agli esseri umani, i figli. Che ora dunque frenassero la collera e affidassero il cuore a chi la sorte aveva già dato il loro corpo. Spesso al risentimento di un affronto segue l'armonia dell'accordo. Ed esse avrebbero avuto dei mariti tanto migliori in quanto ciascuno di par suo si sarebbe sforzato, facendo il proprio dovere, di supplire alla mancanza dei genitori e della patria. A tutto questo si aggiungevano poi le attenzioni dei mariti (i quali giustificavano la cosa con il trasporto della passione), attenzioni che sono l'arma più efficace nei confronti dell'indole femminile. »
Tito Livio, Ab Urbe condita libri, lib. I, capoverso 9
Facendo un salto, basta coprire la distanza di circa 1950 anni, scopriamo che se ne occupò anche la cinematografia italiana, nel periodo fine seconda guerra mondiale-liberazione: la compagnia del prof. Tromboni gira per i teatri di provincia; si riesce a guadagnare appena di che sfamare la compagnia. Si giunge in un paese: un maestro di scuola offre dei soldi affinché si rappresenti una sua opera in versi. È Il ratto delle Sabine. L'opera viene messa in scena con un fiasco; si conclude con un parapiglia generale. Il film venne proposto anche con il titolo Il professor Trombone. La regia venne assegnata a Mario Bonnard. Protagonista: Totò.
Risulta evidente come sia notevole la differenza: nel caso del Ratto delle Sabine si trattava di rendere un servizio ai romani: mettere in condizione i rudi soldati di procreare in serie, in maniera da poter poi ripartire verso la creazione del sacro romano impero. E qui le donne non solo servirono alla bisogna, ma dovettero mettere pure pace tra mariti e padri, superando il concetto sacro: mogli e buoi dei paesi tuoi. Nel secondo, pure: ma si tratta di uno solo a goderne, non è una catena di montaggio. Inutile, poi, parlare delle guerre giudiziarie e delle vendette successive ai fatti, giacché tutto il discorso si sposterebbe dal corpo delle donne verso altri generi di coltellate e tiri mancini., per giungere al concetto dei MATRIMONI RIPARATORI: quelli con cui si pretendeva di giustificare il ratto in cui l'oggetto era spesso una bambina. Altra ipotesi sarebbe quella della fuga pre-matrimoniale, molto in voga in sud Italia, specialmente in Sicilia, fino a qualche decennio fa. Pure rispetto a questa ipotesi non mancano le possibilità perché si compissero reati: se uno dei due era minorenni si versava nel caso di "sottrazione di minorenne consenziente" disciplinato dall'articolo 537 del codice penale.
Preferiamo parlare di altro, di ipotesi che riguardano, ad esempio, la solitudine delle persone, delle donne stesse, affrontata con ironia e una lieve vena comica. E ci sovviene la canzone di Pasquale Cinquegrana: Ndringhetendrà:
Carmela è 'na bella figliola
Venne l'acqua gelata 'a stagione.
Cumme spriemme 'stu bellu limone,
tu me spriemme 'stu core, Carmè!
Tutt' 'a vonno 'sta bella acquaiola,
e nisciuno s' 'a piglia…Pecché?
Pecché?...pecché …ndringhetendrà!...
Mmiez 'o mare 'nu scoglioce sta!
Inutile dire che non mancano, poi, le ipotesi di grandi amori, che danno sofferenza, ma anche gioie. Un esempio, altre canzoni:
AMALIA, di Giambattista ed Ernesto De Curtis del 1902, edita da Bideri:
Se pe' te i' stasera m'accide
E dimane tu liegge 'o Matino,
io so' certo che manco ce cride.
Ca so' muorto p'ammore pe' tte.
Amà, Amà,
che raggione te pozzo cuntà?
'O cert'è ca i' t'amo e t'adoro…
Cchiù sincero e 'stu core nun c'è.
L'Amalia di cui si parla è Amalia Russo. Ernesto De Curtis la sposerà qualche anno dopo. Il fratello, Giambattista, ormai quarantenne, respinto dalle belle turiste giunte a Sorrento, sposerà Carolina Scognamiglio, dopo venti anni di fidanzamento.
Nel 1911 i due lanciarono Lucia Lucì:
I' m'arricordo 'e te,
quanno sto vicino 'o mare,
quanno l'onna chiano chiano
vasa 'a rena a po' scumpare.
E po' torna a s'à vasà…
I' m'arricordo 'e te,
Lucia Lucì,
che a quinnice anne me deciste si!...
Le foto: I- Il ratto delle Sabine Jacques-Louis David.
II- Il ratto delle Sabine, Nicolas Poussin.