Un racconto con una ricetta natalizia e qualche idea per il vino
AMORI
Nell'occhio del ciclone da tempo incalcolabile, stanco di correre dietro gonnelle troppo ballerine, trovai rifugio in un capanno cadente.
La collina dove qualcuno lo aveva costruito e forse se ne era dimenticato, sovrastava un florido vigneto. Si perdeva a vista d'occhio declinando verso una riva; quella vista mi induceva a pensare vi fosse un nesso tra la vite, le origini dell'uomo, il mare stesso, se è vero che da lì veniamo. Passavo il tempo a mangiare pane e formaggio, bevendo un buon vino rosso trovato in una damigiana impolverata. Avevo tolto il sughero annerito da polvere, muffe e tempo; avevo respirato convinto vi fosse aceto.
Concentrato sui pensieri poco profondi, dedito a lunghe scarpinate per calanchi sabbiosi e spiagge isolate, non avevo mai incontrato nessuno. Stanco di andare ramengo, avevo la sensazione di una prossima resa dei conti. Così, ciurlando nel manico, a cinquant'anni, mi chiedevo ancora se importasse più essere o avere. Ero giù di corda e sentivo la mancanza di una donna. Finalmente notai tracce di vita: una casetta rurale parzialmente ricoperta da un gelso enorme. Le pietre spiccavano su una parete di agavi e non mancava un balconcino con fiori rossi e pochi indumenti stesi. Non potevo dubitare fossero femminili, tanto erano minuscoli. Si trattava di un reggiseno, che sembrava voler volontariamente sfiorare un tanga grigio e uno slip rosso. Lei, una donna filiforme, dai capelli corvini, apparve all'improvviso, nuda, come un miraggio. Raccolse gli indumenti; mi scrutò; sorrise; si apprestò a rientrare girandomi le spalle. Prima di svanire si voltò; lanciò un sorriso smagliante. O così mi parve.
Come attratto da una calamita, mi diressi verso quel luogo. La distanza non doveva superare i cinquanta metri; impiegai un tempo che parve esagerato per arrivarci. A pochi metri fui sfiorato da odore di cucinato. Ricordavo il profumo dei pomodori e delle foglie di basilico appena strappate. Di quello che si trattava. Avvertivo altri odori, ma non riuscivo a identificarli. I pensieri furono interrotti da rumore di sandali. Di nuovo il sorriso, di nuovo il suo corpo, avvinto in un pareo, di nuovo odori indecifrabili, mi portarono via da me stesso.
Non sapevo più dove fossi; mi giunse la sua voce con accento francese: -Siamo vicini? Ha già pranzato? Non capii come mai tirassi fuori un grugnito; ma dovetti muovere almeno la testa in un assenso, giacché lei si spostò di quarto indicando la porta. Finalmente potevo attribuire gli altri odori. Sul fuoco il sugo, il più semplice possibile, era pronto. I pomodori conservavano il rosso acceso e il verde del basilico era integro. Accanto ai fuochi spiccava un enorme piatto e un foglio di pesante carta gialla su cui erano adagiati due spessi pezzi di baccalà: -Stavo per preparare del baccalà marinato in olio extravergine di oliva ed erba cedrina.
Senza smettere di sorridere: -Mi fa piacere avere un vicino. Anche se mi aiutano a curar la vigna, trascorro molto tempo da sola. L'ho acquistata tre anni fa; posso dire di aver avuto fortuna. I vini che produco, dai bianchi, ai rossi e ai rosé, mi danno soddisfazioni inattese. Nel preparare gli ingredienti, spiegò: -Occorre usare baccalà ben dissalato, dopo quattro giorni di ammollo in acqua, da sostituire una volta al giorno. Tenerlo in cottura, a bassa temperatura, massimo 50-52 gradi, per due ore; adagiarlo su un letto di pomodorini, lessi, sbucciati e tolti i semi. Abbia pazienza; assaggerà qualcosa di speciale. Il baccalà è già cotto.
La osservai mentre ruotava il baccalà tra granelli di capperi dissalati, abbrustoliti in forno a fuoco lento per tritarli in mortaio; poggiò il tutto sul letto di pomodorini del tipo piennolo. Disse che erano dolcissimi. Mangiammo spaghetti, bevendo vino bianco fresco, con lieve sentore di uva moscato. Al baccalà abbinò prima un rosé, che trovai eccessivamente freddo, poi il rosso dal color rubino, elegante. Come il bacio che mi diede dopo il caffè.
Alessia e Michela Orlando