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Alfredo Panzini, Pisa – Duomo

Da Paolorossi
Pisa - Piazza dei Miracoli

Pisa – Piazza dei Miracoli

Quel Battistero, quella Chiesa, quella Torre cantante, quel Cimitero, adorni dei più bei segni della resurrezione, che cosa erano? Asilo e patria; il luogo del battesimo, il luogo delle nozze, il luogo della pace. Una religione, insomma! La speranza immensa abitava allora dietro queste porte. Oggi le nostre patrie sono più grandi, e vi sono tanti asili e tanti manicomi, con tanta igiene, che una volta non si conosceva nemmeno. Ma questi edifici moderni non sono belli. Perché? Perché non li ha edificati la pietà; e né anche la religione. V’è bensì chi dice oggi di credere nella religione dell’umanità. Ma ci possiamo fidare?
Come fuggirono veloci quelle rosee ore del vespero! Il monte di San Giuliano, dietro la Torre pendente, pigliava certe ineffabili tonalità violacee. Conforto di maggior frescura, e profumo di resine, recava dal Tirreno la sera imminente. Passavano intanto donne del popolo coi loro bimbi davanti alla chiesa: li sollevavano a baciare quelle istoriate porte di bronzo, chiuse come il mistero; e non so perchè, dicevano ad ogni porta, con accorato accento : «Bello, bello !» con quelle elle che squillavano come làmine tese fra la dolcezza lamentosa delle vocali; ed i bimbi ripetevano: «Bello».
«Bello», che cosa?
Si, « bello » e basta.

Pisa - Piazza dei Miracoli

Pisa – Piazza dei Miracoli

Quanto più savio baciare le impenetrabili porte del mistero, e dilungare piamente, in silenzio, a capo chino, come facevano quelle donne, piuttosto che urtarvi col capo, come facciamo noi ! Ed allora anch’io mi posi a riguardare quei riquadri delle porte ad alto rilievo di bronzo, ed una figurazione più delle altre mi attrasse: essa rappresentava un cancelletto campestre, dietro il quale era un orto fiorito, e, dentro, tante figurine con gli occhi levati verso il cielo.
Sotto stavano iscrìtte quelle parole simboliche che il D’Annunzio pose a tìtolo delle sue rime profane: Hortus Conclusus,  e tutte quelle figurine di bronzo, che sono gli abitanti del nostro mondo, parevano estatiche a contemplare quello che avviene lassù, nel gran secolo, nella gran patria di Dio. E un po’ per volta divenni estatico io pure.
— Mi accorsi allora di non essere solo: una vecchia magra, lunga, passava cercando con gli occhi e col tatto, l’una e l’altra porta.
— Che cosa cercate, buona donna?
— E ci deve essere ! L’ ho visto quand’io era bimbetta, e non lo trovo più! — disse come parlando a se stessa.
— Che cosa?
— Il pretino, veh! — rispose.
Ella cercava tra quelle figurazioni la storia di un prete di cui era antica leggenda che avesse rubato l’abito e la corona di gemme alla Madonna: «E un giorno — diceva la vècchia — trovorno il pretino stiacciato fra le du’ porte, metà di qua, metà di là ; e allora si capì che era stato lui. E ci dev’eser qui il pretino, e non lo trovo più».
La buona vecchia, da quanto riuscii a capire, credeva nella Madonna e nel miracolo, ma non credeva nei preti.
— E se loro non vi danno l’assoluzione? — domandai.
— Oh, senta — rispose ragionando come si fosse trattato di un affare spìccio e che si poteva compiere anche quella sera stessa —, io ho settant’anni e più di vita, e in settant’anni non ho fatto male a nissuni. Possa pèrdere questi occhi e non veder più i miei figliuoli se ho fatto male a nissuni! Quando sarò morta, mi buttino dove vogliono. Poi farà Dio quello che vuole di me.
— Oh, buona donna, siate certa che porteranno anche voi lì, nel Cimitero….
— Oh, lì non seppelliscono più nissuni. Quant’anni è che non seppelliscono più? Ma gli scienziati — interruppe poi gravemente — ci hanno diritto.
— Gli scienziati soltanto? — domandai — ed i poeti, no?
«Scienziati» voleva ella dire, cioè «ì saggi », cioè quelli che sanno le cose che non si vedono.. Mi diede la buona sera, e si allontanò per uno di quei raggi bianchi che lineavano il prato scuro.
Quella donna è nobile certamente — dissi a me stesso seguendo con lo sguardo la sua magra figura; — non sarà contessa o marchesa: ma nòbile è certamenteI Ammette qualche privilegio per gli scienziati e per i poeti. Si rivolge al suo Creatore senza interposta persona:  «Ecco, o Dio, a te la mia anima ».
Domattina avrei trovato tutto aperto: la chiesa e il cimitero. Ma non era il caso di ritornarvi. Il trionfo della morte dell’Orcagna, con quei cavalieri che si arrestano davanti alle bare, lo vedremo quando che sia.

(Alfredo Panzini, Viaggio di un povero letterato, pag.112-113-114-115-116 – Fratelli Treves Editori, 1920)

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