Le modificazioni sul cibo indotte dal fuoco e dal suo utilizzo permisero all'uomo di "creare" il proprio cibo, non più limitandosi a prenderlo e consumarlo così com'era in natura, ma modificandolo e migliorandolo. La cucina nell'immaginario comune è immediatamente associata al fuoco, esso è quindi l'elemento identificativo dell'essere umano e delle sue pratiche culturali.
(Pieter van der Heyden e Hieronymus Cock, La cucina
grassa, 1563, incisione)
In questa logica il rifiuto del cibo cotto assunse valenza di rifiuto della vita mondana con le proprie tentazioni, pensiamo agli scritti delle vite dei santi eremiti ed esegeti medievali che si limitavano a consumare radici, bacche e all'occorrenza piccoli insetti, tutto rigorosamente crudo. Tuttavia, se limitassimo la nostra analisi a questi aspetti il discorso sarebbe molto riduttivo perchè il fuoco non è sempre sinonimo di cucina. Molte preparazioni culinarie non necessitano del suo utilizzo, ne sono un esempio alcune pietanze o salse della cucina del nostro Paese oppure l'arte giapponese del pesce crudo. In questo caso è la tecnica la vera discriminante, l'abilità di preparare e comporre le pietanze è la caratteristica saliente e identitaria di questo tipo di cucina.
Gli aspetti appena esposti generano inevitabilmente opinioni contrastanti sulle modalità attraverso cui si realizza il "fare cucina" e quindi la cultura di un popolo. Tutto ciò non toglie che innegabilmente il fuoco e quindi la cucina siano stati elementi fondamentali per sottrarre l'uomo dallo stato "selvatico" e renderlo realmente e culturalmente civile.
(Calcare dipinto, Antico Regno, V dinastia. Museo Egizio,
Firenze)
Ma il cibo non serve solo a costruire l'identità culturale dell'uomo, è indispensabile anche all'interno della società per sancire le diversità di classe. E' stato più volte analizzato il tema di come sia da sempre stato un marcatore sociale, un mezzo per ostentare benessere e disponibilità economiche oppure una cartina tornasole della povertà. Sotto questo aspetto ha senza dubbio un valore identitario sociale, si riteneva infatti che ogni ceto avesse i suoi cibi rappresentativi, consumarne altri non appartenenti alla classe sociale poteva voler dire perdere la vita perché il fisico non era adatto a consumare quegli alimenti. Il quadro presente qua sotto ci fornisce un esempio delle caratteristiche costitutive di questo aspetto. La ricotta era il derivato più umile della lavorazione del latte, poco saporita e nobile; il modo sgraziato di consumarla da parte dei soggetti, servendosi di mestoli da cucina, identifica il ceto basso di appartenenza al quale si associa l'assenza di controllo nel rapporto col cibo, sinonimo di mancanza di conoscenza delle regole di Galateo. La scena descritta è una rappresentazione denigratoria di una fetta della società, confermata dal tono caricaturale delle figure dei protagonisti.
(Vincenzo Campi, I mangiaricotta, 1585 circa, collezione
privata)
Ancora oggi in forme e modi diversi il cibo diventa un mezzo di identificazione sociale: alcuni cibi sono assimilabili a cospicue possibilità economiche mentre altri vengono definiti "cibi di massa".
Ma è identità anche attraverso le pratiche religiose poichè presente (e lo è stato) in innumerevoli religioni come legame tra gli uomini e il lato divino o in norme o pratiche religiose. In tale aspetto l'identità è anche espressa nei divieti religiosi riguardanti il consumo di alimenti oppure il loro utilizzo nei riti di propiziazione; per questi due casi mi vengono in mente le norme a carattere alimentare presenti nell'Ebraismo e nell'Islam e l'utilizzo del latte ed altri alimenti per onorare le divinità nella religione Induista.
E' identità anche dal punto di vista geografico: fattori climatici ed ambientali fanno si che alcuni cibi presenti in un luogo o in una parte della Terra non lo siano in un'altra, essi dunque assumono due significati: per chi vi abita sono rappresentativi del forte legame della comunità con il territorio e, al tempo stesso, sono un elemento di identificazione di essa da parte di possibili visitatori o, più semplicemente, del resto del Mondo.
Esso è anche identità dei valori etici di una società: pensiamo alla cultura dello spreco e dello sfruttamento delle risorse associati ad alcuni Paesi oppure viceversa l'attenzione di alcune comunità al cibo sostenibile, accessibile a tutti ed a basso impatto sociale ed ambientale. Per questo aspetto assumono un valore identitario anche determinate scelte alimentari: rifiutare un cibo o una categoria di cibi è assimilabile a ideologie, pensieri, modi di intendere ciò che ci circonda ma anche (chiaramente in modo assai diverso) problematiche nel suo rapporto con l'uomo, che sfociano spesso in disturbi alimentari di diversa entità.
In ultimo, anche se si potrebbero fare altre riflessioni, il cibo può rappresentare un Paese con il proprio patrimonio culturale, storico e antropologico. E' proprio il caso dell'Italia che incarna la sua immagine in innumerevoli specialità. Cercare di conoscerle, apprezzarle, studiarle e soprattutto preservarle è un nostro dovere; al tempo stesso, e più in generale, ritengo doveroso avere desiderio di conoscere il cibo e la sua storia perché esso è fonte di identità e quindi veicolo irrinunciabile per conoscere l'altro e il Mondo in cui viviamo e che dovremo restituire (si spera il meno danneggiato possibile) ai nostri figli.
(Pieter Bruegel il Vecchio, La cucina povera, part.,
incisione, 1563)