“Un politico condannato con sentenza definitiva per il reato di evasione fiscale dovrebbe avere il buongusto di dimettersi”.Questa citazione, di assoluto buonsenso, non è ascrivibile ad Ingroia, magistrato sprovveduto accusato di bolscevismo, ma a Silvio Berlusconi. No, non siamo di fronte ad un curioso caso di omonimia illustre. Proprio come Nostradamus, nel corso della sua lunga avventura politica il leader del centro-destra ha detto tutto ed il suo contrario, conscio del fatto che prima o poi ne avrebbe azzeccata almeno una. Correva l’anno 1995 e negli studi televisivi di Michele Santoro l’allora fondatore di Forza Italia sbottò. Durante quella stagione bisognava lanciare un segnale all’opinione pubblica, far capire al popolo delle partite Iva che la gestione malavitosa dei governi della Prima Repubblica era ormai un ricordo lontano. Niente più ruberie, niente furti, nessuna presenza ingombrante dello Stato. Non a caso di lì a breve il pubblico ministero del pool di Milano, Antonio Di Pietro, avrebbe ricevuto la fatidica proposta indecente: entrare nel Polo delle Libertà e del Buon governo, ossia passare dall’altra parte della barricata, una volta conclusa l’esperienza di Mani Pulite.Oggi il clima è diverso: Forza Italia 2.0 nascerà dalle ceneri del Pdl e con una ragione sociale differente. Non si tratta più di offrire una sponda politica ai moderati orfani del pentapartito, declinando magari pulizia e trasparenza; occorre, bensì, tutelare l’immagine e la storia personale del Capo, a dispetto di ogni condanna e di ogni dato macroeconomico, rimettendo ai posteri il giudizio sull’ultimo ventennio. E’ in questa pretesa impunità che si dispiega lo sfacelo di una destra asservita al suo padrone, ove gli interpreti della “cultura conservatrice”, o presunti tali, si limitano a declinare una mefistofelica uguaglianza della corruttibilità del ceto dirigente. Nessuna vocazione europea, nessun afflato genuinamente repubblicano, solo un j’accuse contro la magistratura, potere indipendente dello Stato che si ostina a ragionare secondo diritto in un’epoca d’arbitrio. E’ la riproposizione aggiornata del Congresso di Fiuggi di Alleanza Nazionale: lasciare ai libri di testo il giudizio sul duce, bandendo così ogni riflessione.In questa cloaca si riduce il Parlamento a postribolo, pretendendo lo scrutinio segreto sulle sorti politiche di un pregiudicato. In Germania, in Inghilterra, perfino in Francia – giusto per restare su questa sponda dell’Atlantico – l’intera rappresentanza avrebbe ripudiato il confronto con un fuorilegge. Nei paesi seri basta l’infamia di aver copiato un capito della tesi di laurea per mettere in discussione le fortune pubbliche di un Ministro. In Italia no: puoi metterti d’impegno dimostrando una notevole attitudine alla delinquenza, puoi disegnare un processo organico di frode a danno dei contribuenti, puoi aver corrotto giudici per ottenere l’appropriazione indebita di un’impresa, eppure ancora la ragion di Stato impone ai commilitoni di brigata (di destra o sinistra poco importa) una valutazione sostanziale del percorso in Transatlantico, quasi che il supporto elettorale sia l’unico metro di giudizio in uno Stato che si vuole democratico solo se prima sa essere di diritto. Mi chiedo perché, a questo punto, le nuove leve di Cosa Nostra non dovrebbero affrancarsi dalla clandestinità ottenendo un posto al sole in Parlamento, con agi e privilegi annessi.A questo siamo: a far dipendere il destino del paese da un condannato con sentenza definitiva che tiene in scacco il potere esecutivo nella certezza di poter strappare con le minacce un trattamento privilegiato ben oltre il confine della decenza. E’ una ferita infetta al cuore delle istituzioni, una ferita che nessuno osa rimarginare. Non lo fa il Pd, correo compagno di merende; non lo fanno i pentastelluti, prigionieri di un complesso di superiorità che riporta alla memoria i vaniloqui di Rosa Luxemburg; non lo fa, infine, neppure Napolitano, garante della Costituzione a targhe alterne nonché fedele osservante del culto delle larghe intese. Frattanto il paese affonda, lentamente, prigioniero di una faziosità morale asfissiante che si trastulla col politicamente corretto: ma sì, muoia Sansone con tutti i Filistei, l’unto del popolo è intoccabile per definizione. Almeno fino all’interdizione dai pubblici uffici.G.L.
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