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Allarme petrolio: è troppo e rischia di costare troppo poco

Creato il 02 novembre 2014 da Valtercirillo

Allarme petrolio: è troppo e rischia di costare troppo poco

È ormai evidente che i prezzi del petrolio stanno vivendo una fase di stabile ribasso. La cosa va già avanti da metà giugno, quando la quotazione internazionale del barile aveva superato i 105 dollari, scesi agli 81 dollari del 31 ottobre per i greggi a termine sulla borsa di New York.

I prezzi del petrolio non seguono mai andamenti perfettamente costanti, ma salgono e scendono continuamente anche nel giro di ore. Ai picchi alti seguono sempre picchi in basso, seppure nell'ambito di linee di tendenza che possono durare mesi o anni. Per esempio il picco storico al rialzo è stato toccato nel luglio 2008, con oltre 147 dollari al barile: nel gennaio 2009 il prezzo era sceso a 41 dollari. Due anni dopo (gennaio 2011) era di nuovo salito a 115 dollari, per poi scendere a 78 nel settembre dello stesso anno. Nel 2012 le quotazioni in tre giorni sono passate dai 110 dollari del 3 gennaio ai 77 dollari del 6 gennaio.

Si potrebbe dunque pensare che gli 81 dollari chiesti per un barile di greggio rientrino nelle normali fluttuazioni stagionali del mercato, il quale, come media annuale, da tre anni registra prezzi superiori ai 100 dollari.
È invece probabile che non si tratti di un calo contingente. Per vari motivi, che sostanzialmente possono essere riassunti nel fatto che il mercato sa che c'è in giro grande abbondanza di petrolio e che si può fare affidamento sulle sue forniture.

Questa situazione può ovviamente cambiare da un giorno all'altro: basterebbe la chiusura dello stretto di Ormuz per far riesplodere una grande crisi energetica internazionale. Ma, anche senza ipotizzare ulteriori catastrofi, è un dato di fatto che forse mai il contesto politico del Medio Oriente (la zona con le maggiori riserve di petrolio e gas) è stato instabile come in questo momento. Inoltre l'industria del petrolio sta incontrando difficoltà di vario genere anche in altri Paesi importanti, come Russia, Libia e Nigeria. Tutte cose che tradizionalmente si traducono in minore produzione, maggiore incertezza e, quindi, alti costi.

Questa volta, invece, l'offerta di petrolio non solo non si è ridotta, ma anzi è notevolmente aumentata.

I motivi di questa novità sono almeno tre:
1. la riduzione della domanda di petrolio in Europa, a causa della crisi economica che continua a far sentire il suo peso ormai dal 2009. Più recentemente i consumi di prodotti petroliferi si sono fermati anche in Giappone e in Cina
2. l'aumento della produzione in diverse zone, ma soprattutto in Russia e negli Stati Uniti. In quest'ultimo Paese il successo della produzione di petrolio non convenzionale ( shale oil) sta rendendo disponibili sui mercati grandi e crescenti quantità di greggio, finora importate dal Medio Oriente
3. il fatto che l'Opec non sta tentando di sostenere il prezzo del barile, cosa che teoricamente - con in mano l'81% delle riserve mondiali di petrolio - potrebbe fare con successo semplicemente riducendo la produzione. Che invece sta aumentando: di ben 400.000 barili al giorno lo scorso mese, rispetto al precedente mese di agosto.

Quest'ultimo punto, in verità, riguarda soprattutto l'Arabia Saudita, che addirittura sembra stia favorendo il calo dei prezzi.
Paesi come il Venezuela, la Nigeria e l' Iran hanno disperato bisogno di non ridurre le entrate derivanti dalla vendita del petrolio e preferirebbero di gran lunga tagliare la produzione del 10% piuttosto che veder calare i prezzi di oltre il 25, come è accaduto negli ultimi cinque mesi. Ma l'attore protagonista, in questo gioco, è appunto l'Arabia, che è il Paese con le maggiori riserve, la maggiore capacità produttiva e le maggiori possibilità di manovra, perché non solo produce di più, ma anche ai costi più bassi, cioè con i maggiori margini di guadagno.

Dunque, perché l'Arabia Saudita dovrebbe essere interessata a veder scendere il prezzo del barile?

Conseguenze del calo dei prezzi del petrolio

Qui si entra nel campo delle fantaipotesi, per quanto tutte sostenute da valide ragioni. Quindi, invece di fare possibili ipotesi, ci limitiamo a citare alcune possibili conseguenze (alcune contingenti, altre più strutturali) che la riduzione dei prezzi del barile può avere a livello internazionale.

Il primo probabile effetto di breve termine si avrà su due Paesi chiave dell'attuale politica mediorientale: Russia e Iran, i cui bilanci dipendono fortemente dalla vendita di petrolio e derivati. Con il 25% di queste entrate in meno, entrambi i Paesi avranno difficoltà a sostenere le politiche sociali che già ora sono percepite come carenti. Il che creerà difficoltà interne che dovrebbe spingerli ad essere un po' più "ragionevoli" rispetto alle richieste degli Usa (di cui l'Arabia è uno dei più stretti alleati) e dell'Ue, in modo da alleggerire le sanzioni economiche occidentali. In gioco sono l'interferenza della Russia nell'evoluzione filo occidentale dell'Europa dell'est, e il tentativo dell'Iran di diventare una potenza nucleare egemone nel Medio oriente.

Un ulteriore effetto molto gradito agli Usa si potrà vedere nel Sudamerica: minori entrate petrolifere saranno drammatiche per le casse del Venezuela, già a rischio di default, mettendo potenzialmente fine alla politica antiamericana che il Paese porta avanti da una quindicina di anni.

Meno evidenti ma più importanti sono gli effetti di medio-lungo termine sul mercato energetico. Al riguardo va premesso che la minore domanda di petrolio in Europa e nei principali Paesi industrializzati non solo è ormai un fatto consolidato, ma in costante progressione: esigenze ambientali, climatiche ed economiche concorrono a far sì che i prodotti petroliferi siano sempre più sostituiti tanto da tecnologie e combustibili alternativi, quanto da maggiore efficienza e nuovi modelli di sviluppo.

In questo caso il vero interesse dei Paesi esportatori di petrolio, e soprattutto dell'Arabia Saudita, è di contrastare sia lo sviluppo delle tecnologie alternative al petrolio, sia lo sfruttamento di nuove aree petrolifere poste fuori dal controllo Opec. E poiché tutte le industrie di questo mondo possono inventarsi mission e obiettivi con orizzonti al 2050 o anche al 2100, ma investono esclusivamente per obiettivi di 4-5 anni al massimo, la riduzione dei prezzi del petrolio è un'arma di grande efficacia per orientare gli investimenti a breve termine.

Con una offerta abbondante di greggio a buon mercato (che, tra l'altro, trascina al ribasso anche i prezzi del gas) c'è meno convenienza a investire nelle fonti rinnovabili, nei biocombustibili, nei carburanti liquidi derivati da gas e da carbone. C'è meno convenienza a investire nelle auto elettriche. C'è molta meno convenienza a investire in risorse petrolifere alternative: per esempio le rilevanti risorse contenute nelle sabbie bituminose del Venezuela e del Canada, ma anche le risorse contenute nelle rocce di scisto, comprese quelle delle praterie Usa. E soprattutto non c'è più convenienza a investire nell'esplorazione e nello sfruttamento di risorse marginali o del tutto nuove, come, per esempio, quelle del mare del Nord presso l'Oceano artico, dove ci sarebbero riserve in grado di ridurre sensibilmente e per molti anni le importazioni europee.

Bassi prezzi del petrolio non impediscono l'innovazione e lo sviluppo di nuove tecnologie alternative al petrolio. Ma possono dilazionarne i tempi e contrastarne la diffusione, allungando fors'anche di decenni la dipendenza delle economie avanzate dagli idrocarburi e dai Paesi esportatori di petrolio.

Il che non vuol dire che, allora, è meglio adattarsi a prezzi del barile molto elevati. Nell'immediato, infatti, i minori prezzi apportano un beneficio non indifferente per l'economia dei Paesi importatori, liberando risorse che possono essere destinate ad alleviare disagi sociali o ad investimenti di sviluppo.
Il vero punto è che si deve essere consapevoli delle cose e agire di conseguenza, soprattutto per evitare che il beneficio immediato non sia pagato con una maggiore dipendenza complessiva. Cosa che alla lunga è il male peggiore.

[ Valter Cirillo]

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