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Allarme tumori nel Salento: l’asse del male Taranto-Brindisi

Creato il 07 febbraio 2012 da Scienziatodelcibo @scienziatodelci

Inchiesta sull'esplosione del cancro nella Regione con certificati verdi e nubi nere

Allarme tumori nel Salento: l’asse del male Taranto-Brindisi
Parli dell’ILVA, il siderurgico di Taranto e della mega centrale a carbone di Cerano (Brindisi) e poi scopri che il Salento, mai rientrato nelle politiche di industrializzazione della prima Repubblica, è la zona dove l’incidenza dei tumori aumenta esponenzialmente, a prima vista, senza una causa plausibile. Un tasso di mortalità per tumori maligni di trachea, bronchi e polmoni (tutte neoplasie non correlate all’alimentazione!) cresciuto vertiginosamente. Le aree interessate sono tutte nel Salento, da Lecce in giù. Maglie il paese più colpito (43 decessi nel 2004, 37 nel 2005), ma anche Gallipoli, Nardò, Tricase, Cutrofiano. Da questa pubblicazione della LILT (Lega Italiana Lotta Tumori) emerge un quadro assolutamente preoccupante:  nel primo cartogramma ci sono i Rapporti standardizzati di mortalità per tumore, per Comune, anni 1998 – 2004. Nel secondo cartogramma i Rapporti standardizzati di mortalità per tumori maligni di trachea, bronchi e polmoni, per Comune, anni 1998 – 2004. (Fonte: Stato di salute della popolazione pugliese – edizione 2006 – Osservatorio Epidemiologico Regione Puglia). In rosso, le aree a più alto tasso di mortalità (clicca sulle immagini per ingrandire).

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Si notano alte concentrazioni di neoplasie intorno alle zone più industrializzate (Taranto, Bari, Brindisi). Poi ci sono dei picchi anomali nel Salento e in alcune zone del Nord-Barese (Corato, Trani e dintorni) e del Foggiano. Alcuni correlano l’alta incidenza di tumori in queste aree per via dell’alta concentrazione di cave; parliamo quindi del sospetto che tante cave esaurite siano state destinate a discariche di rifiuti pericolosi di ogni genere, oltre che di rifiuti, diciamo pure, usuali. Ma di questo non ci sono dati né prove. Dal Rapporto sulle Emissioni industriali in Puglia, da parte dell’ARPA (su dati 2002/2006) emerge invece un quadro devastante per la situazione ambientale della Regione italiana con il maggior tasso di incremento turistico negli ultimi anni.

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I grafici parlano da soli: le emissioni in Puglia sono alla stregua (se non anche maggiormente incontrollate) delle aree più industrializzate del mondo. Il quadro che emerge – da quanto si legge nelle conclusioni del rapporto – è quello di una elevata criticità della situazione della matrice “aria” della regione Puglia per quanto riguarda le “pressioni” da parte di tali sorgenti emissive, che trova riscontro nei dati provenienti dalle reti di monitoraggio della qualità dell’aria gestite da ARPA Puglia, che mostrano significativi superamenti rispetto ai limiti attualmente vigenti, in diverse postazioni. Ciò fa sì che un possibile miglioramento dei livelli di qualità dell’aria risulta vincolato ad una diminuzione delle emissioni industriali e, in particolare, all’adeguamento degli impianti di maggiori dimensioni alle migliori tecniche disponibili (le Best Available Techniques, o BAT). Peraltro – si legge – tale adeguamento è fortemente legato a dinamiche di tipo politico-occupazionale-strategico-produttivo che sorpassano, in generale, le possibilità del livello decisionale locale.

Allarme tumori nel Salento: l’asse del male Taranto-Brindisi
Vieni a ballare in Puglia?

Ricordo il coro di politici pugliesi contro Caparezza quando esordì con il video allegro-amaro di “Vieni a ballare in Puglia”. Era l’estate del 2008 e molti di questi dati erano già noti. Come mai allora intorno ai capoluoghi Taranto, Brindisi e Bari ci sono tali livelli di emissione e i casi di tumore aumentano nel Salento? Lo spiega il Dottor Serravezza, oncologo dell’ospedale di Casarano, simbolo della lotta alle emissioni e presidente della Lega Italiana per la lotta contro i Tumori della provincia di Lecce, in un’intervista apparsa lo scorso giugno 2010 sul quotidiano online Affaritaliani.libero.it (Fonte). La relazione dell’Osservatorio epidemiologico, che esamina le zone della Puglia a mortalità più elevata, ne individua quattro: “l’area del subappennino dauno, l’area del nord barese, alcuni comuni a nord di Brindisi e il Basso Salento”. Dopo di che si scompone il dato, individuando quante di quelle morti siano dovute a tumori e qui la relazione è chiarissima, sottolineando “l’eccesso di mortalità per tumore (in particolare di carcinoma polmonare) nei residenti nella provincia di Lecce”. Le tabelle che riportano i tassi di mortalità ogni 10 mila abitanti, infatti, dicono che a Lecce il tasso (nel 2004) è del 25,9%, essendo cresciuto di 4 punti percentuali in soli sei anni. Mentre in provincia di Taranto la mortalità per tumore era ancora inferiore: l’incidenza era del 21,9. Particolarmente inquietanti, in questo quadro, i dati riferiti ai tumori di trachea, bronchi e polmoni, il cui tasso in provincia di Lecce si è mantenuto costantemente al di sopra del 5%, a differenza delle altre province pugliesi. Certo, secondo i ricercatori l’incremento dei tumori non può essere attribuito esclusivamente ai fumi prodotti dalle due aziende. Perciò lo studio continua, a caccia degli altri colpevoli. Di fatto la bestia nera per gli uomini salentini si chiama tumore al polmone, che con il 19,7% di tutte le tipologie tumorali maschili rappresenta la percentuale più alta in Italia, dove invece il nemico numero uno del sesso forte è il carcinoma della prostata (18,5%). Un’anomalia, questa del tumore al polmone in provincia di Lecce, che continua a rimanere un mistero e che preoccupa, anche in considerazione del fatto che sta gradualmente aumentando anche nel sesso femminile.

La colpa è dei venti!

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Perché muoiono queste persone? “Certamente – dice il Dottor Serravezza – non perché nel Salento è più radicato il vizio del fumo da tabacco. Io curo persone malate di cancro e nei miei studi ho cercato di scomporre i dati per capire i territori in cui l’incidenza di malti di cancro è maggiore. I dati del Cnr sugli studi dei venti correlano quanto avviene nel Salento e le malattie tumorali con l’aria e gli agenti inquinanti che arrivano dai grossi complessi del petrolchimico di Brindisi e del siderurgico di Taranto”.
L’Ilva e il Petrolchimico di Brindisi sono la causa dell’aumento vertiginoso dei morti di tumore nel Salento?
“Sì, attraverso questo ‘gioco dei venti’ Lecce sta pagando un prezzo ben superiore rispetto alle popolazioni più vicine alle industrie. Certo, non dipende solo da Taranto e da Brindisi, che sono i grossi bubboni, ma anche da agenti inquinanti delle piccole realtà di provincia. Come la Copersalento di Maglie. E altri inceneritori e cementifici. Ci sono studi del Cnr che lo dimostrano”.

Quanto l’inquinamento incide anche su quello che mangiamo, sui terreni, sui pomodori, sul latte? E su quello che dalla Puglia viene esportato?
“Se c’è l’inquinamento dell’aria è inevitabile che questo si traduca in un inquinamento del suolo, della terra e delle acque. E’ il cerchio biologico della vita. Le emissioni precipitano nel suolo, inevitabilmente. Abbiamo rilevato forte inquinamento di diossina non tanto nell’aria quanto nei terreni. Perché nell’aria l’inquinamento dura relativamente poco, mentre nel terreno c’è tutto quello che si è accumulato negli anni”.

Quali sono i prodotti più a rischio?
“A Taranto per l’Ilva e a Maglie per la Copersalento sono stati abbattuti animali, sono state poste sotto sequestro vaste aree dove i contadini non possono più coltivare e raccogliere. Proprio perché serve una bonifica. La stessa cosa è accaduta a Brindisi per un’ampia area intorno alla centrale di Cerano, dove ora terreni pregiati sono ancora sotto sequestro per diversi chilometri quadrati. Gli animali più colpiti dall’inquinamento sono certamente le mucche, e di conseguenza tutti i composti del latte. L’ormai famoso latte alla diossina”.

Lei si occupa quotidianamente di persone malate di tumore. Quanta parte di queste persone si è ammalata per l’inquinamento?
“Quando le persone arrivano da noi la frittata è bella e fatta. Più che le cause noi cerchiamo di risolvere il problema. Cerchiamo di fare una buona diagnosi e una buona cura. E attraverso gli studi cerchiamo di risalire alle cause”.

L’oncologo Mazza, dell’Ospedale Nord di Taranto, un paio d’anni fa mi parlò di un aumento dei tumori del 40% solo nel quartiere Tamburi, quello più vicino all’Ilva. Quali sono i suoi dati per la provincia di Lecce?
“Secondo il registro dei Tumori (2006) i dati sono in linea con la media italiana. Come se andasse tutto bene. Ma scrivono anche che nella provincia di Maglie c’è un tasso molto alto di mortalità per cancro al polmone. La causa sarebbe il fumo del tabacco. Ma sappiamo bene che non è così ed è per questo che non siamo d’accordo con il registro di tumori”.

E qual è la vostra versione?
“I dati vanno contestualizzati. Noi diciamo che nel Salento, appena 20 anni fa, c’era un tasso di mortalità per tumori del 25% in meno nella provincia di Lecce rispetto alla provincia di Milano. In 20 anni il gap virtuoso si è notevolmente ridotto. Basta guardare le curve per capire che cosa è accaduto nel Salento in questi anni. Nel Nord la curva negli ultimi 8-10 anni sta scendendo, la nostra curva è salita verticalmente negli ultimi 20 anni e continua a salire“.

La beffa delle Centrali “verdi” a biomasse

Allarme tumori nel Salento: l’asse del male Taranto-Brindisi
Ha scritto una lettera aperta al governatore Vendola, chiedendo che dopo Taranto si preoccupasse anche del Salento.
“La questione delle fonti rinnovabili di energia, in Puglia, è partita molto presto. Vendola ha fatto una enorme battaglia molto positiva, ma c’è un problema. Nelle fonti rinnovabili di energia Confidustria e co… hanno messo di tutto. Non solo le fonti vere e pulite, come l’eolico e il fotovoltaico, ma ci hanno messo anche le biomasse, che tradotto vuol dire poter bruciare di tutto, compresi i rifiuti. Bruciando i rifiuti le aziende hanno diritto ai certificati verdi, perché l’Italia è riuscita ad equiparare le biomasse a fonte pulita e rinnovabile“.

Fonte pulita e rinnovabile?
“Sì, qui c’è una vera truffa scientifica alla base.  Ma tanto è bastato che oltre al fotovoltaico e all’eolico (e siamo tutti sul piede di guerra) tra le fonti pulite venissero inserite anche le biomasse. A Lecce c’è in programma la costruzione di 20 impianti di biomassa. Ma la guerra in atto di cittadini e associazioni per ora ha bloccato tutto. Io stesso ho problemi personali per aver bloccato con forza uno di questi impianti, che sono tutt’altro che verdi e con un costo pazzesco di 60 milioni di euro”

Mi scusi, ma a che cosa dovrebbero servire questi impianti?
“Si prende olio, combustibile oleoso, olio di girasoli da tutto il mondo. Poi lo si porta qui attraverso navi cisterne e con i tir si porta nei diversi impianti dislocati nel Salento. Infine si brucia tutto. Questi sono gli impianti a biomassa per produrre energia”.

Un disastro ambientale…
“Esatto. Noi stiamo facendo le guerre per ridurre le emissioni. La commissione ambiente dell’Unione Europea ci intima tutti i giorni di abbassare i livelli pena multe salatissime. Vendola si impegna attraverso una legge regionale per imporre giustamente all’Ilva di ridurre i limiti di emissioni. E poi che facciamo? Nel nome delle fonti rinnovabili di energia pulita ci inventiamo degli impianti che producono nuove emissioni. Siamo alla follia totale. Anche perché in Puglia, l’83% dell’energia che produciamo, la esportiamo. Non ne abbiamo bisogno. E perché dovremmo caricarci anche di questi olii presi da tutto il mondo per essere bruciati e per poi portare l’energia dove serve?”.

Impianti che dovrebbero sorgere tutti nel Salento?
“Sì si, ed è da notare che parliamo di imprenditori che arrivano dal nord”

Ma di quali gruppi parliamo? Qualche nome?
“Imprese del nord, imprese straniere, un’impresa siciliana. Solitamente sono faccendieri, prestanome. Dietro c’è il business dei certificati verdi”.


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