Assistendo all’ultimo film di Paolo Sorrentino, La grande bellezza, vi è un dato che prende il sopravvento sui parecchi spunti che la pellicola offre. Non è quello relativo alla versione metropolitana della dolce vita, non è l’immagine di una Roma godereccia e ipocrita, non è il grottesco né la chance della redenzione fornita dalla riappropriazione di un senso del bello già svanito (la ragazza amata poi persa, mai dimenticata e ormai morta) oppure di là da venire (un senso del sacro, la parte finale dell’opera, capace di profanare quella quotidianità orfana di ogni dio, solamente ciarliera e ficcanaso e opulenta). Piuttosto, la nota che spicca è di carattere squisitamente emozionale, del tutto collegata a un sentimento tipicamente umano. E’ l’estetica della noia.
Io non volevo partecipare alle feste, volevo avere il potere di farle fallire solo
L’obiettivo dichiarato da Geppino (che si fa chiamare con la ‘J’ perché così è più cool) registra un carattere saliente che appartiene al fenomeno della festa. Il party è destinato a fallire, a non funzionare nell’intento di divertire, bensì ad annoiare. La festa è quella situazione in cui emerge senza veli il corrispettivo passionale del regresso all’infinito. Ciò che in partenza si presenta come il massimamente nuovo e creativo – la festa come il contrario della routine – finisce, invece, col dimostrarsi ripetitivo e stereotipato riproponendo così un’esperienza piatta e sempre identica. La noia non è il sentimento di una vita semplicemente abitudinaria. Il tedio irrompe proprio là dove si crede di trovare la novità e invece si sbatte contro il già noto, imbrigliati in un movimento continuo e senza vie di fuga.
Questa grande bellezza è il diagramma di una febbrile indifferenza. Di una vita vacua, vuota, incapace di aver presa salda sulle trame di linguaggi e affetti che compongono il mondo.
Continuando su questa strada, può essere interessante rileggere la conversazione fra Maurizio Ferraris e Paolo Virno, apparsa su la Repubblica il 3 gennaio del 2011, a proposito di una logica delle passioni fra riti e noia all’indomani della pubblicazione del libro E così via all’infinito (Torino, Bollati Boringhieri, 2010):
View this document on ScribdUno che di noia se ne intendeva, Leopardi, ha scritto nello Zibaldone che «la noia è il desiderio della felicità, lasciato, per così dire, puro»: né impedito, né soddisfatto, addirittura privo di un oggetto sul quale appuntarsi. Per questo è solo alle feste che ci si può annoiare davvero.