Alle feste… quanto mi annoio

Creato il 05 giugno 2013 da Angelonizza @NizzaAngelo

Assistendo all’ultimo film di Paolo SorrentinoLa grande bellezza, vi è un dato che prende il sopravvento sui parecchi spunti che la pellicola offre. Non è quello relativo alla versione metropolitana della dolce vita, non è l’immagine di una Roma godereccia e ipocrita, non è il grottesco né la chance della redenzione fornita dalla riappropriazione di un senso del bello già svanito (la ragazza amata poi persa, mai dimenticata e ormai morta) oppure di là da venire (un senso del sacro, la parte finale dell’opera, capace di profanare quella quotidianità orfana di ogni dio, solamente ciarliera e ficcanaso e opulenta). Piuttosto, la nota che spicca è di carattere squisitamente emozionale, del tutto collegata a un sentimento tipicamente umano. E’ l’estetica della noia.

Così afferma Jep Gambardella-Servillo, giornalista di costume, tuttologo, maitre-a-penser e soprattutto “re dei mondani”:

Io non volevo partecipare alle feste, volevo avere il potere di farle fallire solo

L’obiettivo dichiarato da Geppino (che si fa chiamare con la ‘J’ perché così è più cool) registra un carattere saliente che appartiene al fenomeno della festa. Il party è destinato a fallire, a non funzionare nell’intento di divertire, bensì ad annoiare. La festa è quella situazione in cui emerge senza veli il corrispettivo passionale del regresso all’infinito. Ciò che in partenza si presenta come il massimamente nuovo e creativo – la festa come il contrario della routine – finisce, invece, col dimostrarsi ripetitivo e stereotipato riproponendo così un’esperienza piatta e sempre identica. La noia non è il sentimento di una vita semplicemente abitudinaria. Il tedio irrompe proprio là dove si crede di trovare la novità e invece si sbatte contro il già noto, imbrigliati in un movimento continuo e senza vie di fuga.

Questa grande bellezza è il diagramma di una febbrile indifferenza. Di una vita vacua, vuota, incapace di aver presa salda sulle trame di linguaggi e affetti che compongono il mondo.

Continuando su questa strada, può essere interessante rileggere la conversazione fra Maurizio Ferraris e Paolo Virno, apparsa su la Repubblica il 3 gennaio del 2011, a proposito di una logica delle passioni fra riti e noia all’indomani della pubblicazione del libro E così via all’infinito (Torino, Bollati Boringhieri, 2010):

Uno che di noia se ne intendeva, Leopardi, ha scritto nello Zibaldone che «la noia è il desiderio della felicità, lasciato, per così dire, puro»: né impedito, né soddisfatto, addirittura privo di un oggetto sul quale appuntarsi. Per questo è solo alle feste che ci si può annoiare davvero.

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