“The Fall of Arthur”, La caduta di Artù, è il titolo di questo prezioso inedito e c'è da dire che gli amanti del professore di letteratura inglese, creatore dei mondi de "Il Signore degli anelli", devono rassegnarsi: niente maghi o magiche spade. L'ispirazione proviene infatti dalla lettura delle opere di Goffredo di Monmouth e del "King Arthur" di Thomas Malory. Sembra si narri degli ultimi giorni di re Artù, quando il sovrano di Camelot si appresta ad affrontare, insieme a sir Gawain, l'ultima battaglia per preservare il suo regno da Mordred, l'usurpatore.
Il poema epico, di duecento pagine, risale a un periodo precedente all'ideazione de "Lo Hobbit", anche se vi si trovano alcuni temi tipici presenti anche nei famosi romanzi tolkieniani, come la perdita dell'identità, il tradimento e il sacrificio per una gloria più grande.
Il figlio di Tolkien, Christopher, ne ha curato l'edizione per la HarperCollins UK e ha inoltre scritto per questa pubblicazione tre saggi riguardo al mondo letterario di Re Artù. Con l'arrivo il 13 dicembre del film attesissimo “Lo Hobbit: un viaggio inaspettato”, è prevedibile che si riaccenda nuovamente l'interesse su Tolkien, come al tempo della fantastica trilogia cinematografica de "Il Signore degli anelli" firmata da Peter Jackson. E questo è bene. Perché Tolkien è un grande, per troppo tempo misconosciuto e nascosto dietro facili preconfezionamenti. Prima il pregiudizio assurdo che "Il Signore degli anelli" fosse un'opera di destra, poi che il fantasy sia un sottogenere: non c'è nulla come i preconcetti per nascondere sotto strati gelatinosi di stupidaggini realtà invece affascinanti da scoprire. Anche i purismi eccessivi di chi aborrisce i film rispetto ai libri sono da evitare: i film aprono ai più il mondo di Tolkien e nulla impedisce di percorrere la strada della curiosità e da un film ben fatto giungere alla lettura di uno dei libri più letti al mondo, "Il Signore degli anelli", appunto, e poi magari alla lettura di un poema epico di un professore di storia saggio e visionario, incredibilmente creativo e idealista, che un giorno volle scrivere degli ultimi giorni del re leggendario più grande che la letteratura europea conosca, dell'uomo che volle creare una comunità fraterna e perfetta e si trovò a fronteggiare il proprio e l'altrui peccato: Artù. Di questi tempi, di presunzione e di crisi – che forse sono davvero come tutti gli altri tempi di questo vecchio, vecchio mondo – è possibile che addirittura un poema epico rimasto finora nel cassetto possa svelarci qualcosa di noi stessi che ancora vogliamo negare. Sempre sperando che una casa editrice italiana, se ancora ne sono rimaste che si vogliano definire tali, voglia investire davvero sulla Cultura (senza Q) e farci il favore di confezionare una bella traduzione!