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Allegro ma non troppo con Le leggi fondamentali della stupidità umana. Carlo M. Cipolla

Creato il 08 maggio 2014 da Loredana De Michelis @loridemi
Un libello, scritto in un momento di pausa dell’autore da titoli ben più impegnativi. Una disquisizione piacevole da serata in enoteca, tra gente colta.
Contiene due piccoli saggi scherzosi che hanno la peculiarità di non avere niente a che fare l’uno con l’altro. Il primo è una ricostruzione semistorica del medioevo basata sui flussi commerciali di una spezia, il pepe. Il secondo, una tesi fantasociologica sulla distribuzione della stupidità nella popolazione mondiale.
L’arguzia è il patto non dichiarato su cui si basa la dissertazione: va da sé che le teorie presentate sono storicamente e sociologicamente plausibili, volendo, persino supportate da dotte ricerche. Nel divertissement dell’intelligenza usata con grazia e cultura, dichiarazioni come “Senza il commercio del pepe non ci sarebbe stata Storia degna di questo nome” e “Il numero degli stupidi al mondo è, è stato, e sarà sempre di gran lunga maggiore di quanto si possa pensare”, assumono una dignità affascinante e stimolano ulteriori costrutti sulla scia di una tradizione antica, quella di certi filosofi greci riuniti nelle loro taverne culturali, di pietra e colonne. Un passatempo che si era un po’ perso nel corso dei millenni e che ora entra in libreria come un best seller, anche se questo libro era stato scritto per gli amici, anni fa.
Proprio per far giocare ragionamento e conoscenza, come antidoto all’appiattimento degli slogan preconfezionati di cui siamo oramai tutti bersaglio, cerco di rispondere alla domanda che il libro lascia aperta: perché la maggioranza è degli stupidi? Non poteva essere degli intelligenti?
Perché la stupidità è uno stato naturale, una forza potente e spontanea, mentre l’intelligenza è un’abilità che richiede un attento e costante allenamento: è pressoché impossibile far diventare intelligenti gli stupidi, ma gli intelligenti, messi a contatto con la stupidità si ritrovano a non potere esercitare la loro abilità e finiscono per perderla, momentaneamente o per sempre.

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