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Allestimento per La cena di Emmaus

Creato il 16 settembre 2010 da Fabry2010

di Alfonso Nannariello

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Le pitture sono sempre piene di particolari. Anche quando sembra non ci sia niente, nel quadro c’è qualcosa. Nell’arte anche solo un’ombra è piena di bellezza.
Se qualche artista avesse visto le tavole di allora apparecchiate per la sera avrebbe potuto ritrarle. C’erano tutti gli elementi giusti per rappresentare la reale atmosfera della cena di Emmaus: il pacato silenzio, la qualità dell’arredo, qualche posata, le persone che partecipavano al pasto, una sobrietà piena d’emozione e a c’tràngula a ‘nzalàta1.

Su fondo, scuro quanto basta a raccogliere i toni bassi delle suggestioni, una tovaglia candida appena cacciata dal tiretto, coi segni delle pieghe stirate a croce. Sotto la tovaglia, si intuisce da uno spigolo, la forma perfetta del tavolo quadrato. Sopra, tra le briciole e un avanzo di pane, simbolo del Cristo che si è dato, un coltello col manico nero che spunta dallo scuro ha la lama verso il costato. Sul colore intenso delle foglie lucide, brillanti di aranci, due parti r ‘na c’tràngula tagliata a metà, l’una di fronte all’altra. Rasenti rami d’origano emanano un odore di calma vegetale. Non si capisce se nella brocca di ceramica bianca appena decorata c’è acqua oppure vino. Vicino, un poco sull’esterno, un piatto tutto bianco con riflessi di luci sul filo d’olio e sul corpo delle alici. Dentro e fuori il piatto delle olive nere seccate per l’inverno.
Se Cristo fosse risorto da queste parti, la immagino così, senza un’altra aggiunta di colore, senza argenteria e bottiglie di rosolio, la tavola imbandita per quella cena.
Li vedo i due, prima rubare con gli occhi quel poco da mangiare, e poi, con gli occhi usciti ancora di più, quando l’ospite spezzò il pane e riconobbero Gesù.

Da noi «n’ fa’ assì l’ùocch» significa non fare uscire gli occhi (dalle orbite). L’espressione non è riferita all’effetto dello stupore. Quando ero bambino la si usava ancora. Ci era arrivata da un tempo non proprio passato, da un tempo che non a tutti garantiva sempre di mangiare.
Affinché non fossero “usciti gli occhi” a coloro che erano con noi quando assaggiavamo qualcosa, anche solo pane e zucchero, interrompendo il gioco, ci era insegnato di stemperare il loro desiderio spartendola con loro.

1) C’tràngula a ‘nzalàta, «arancia amara ad insalata (ossia condita come si condisce la lattuga)». Il termine c’tràngula deriva da cetrangolo: l’arancio amaro.



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