Il cinema degli incontri corali e sorprendenti all’interno delle leggendarie e indimenticabili scene atlmaniane che non ci sono più.
Moriva nel 2006, Robert il ribelle. Muore e tanti saluti.
Lo sguardo azzurro viene nascosto sotto le palpebre calate. I tratti di un volto sempre tagliente si distendono. Il sorriso sprezzante scompare sotto delle labbra quasi inesistenti.
Robert Altman Era il papà di America oggi, quello che rimane uno dei suoi film più affascinanti ma, non abbastanza da essere indicato come un capolavoro.
Eppure… eppure lui era il solo a essere riuscito in un unico film a far attorcigliare esistenze che ruotavano l’una intorno all’altra, descrivendo pienamente il torto di vivere, l’assurdità di certe azioni, l’ingenuità di altre, in una amatodiata patria che non poteva fare a meno di mostrare un film dopo l’altro.
È uno dei registi indimenticabili, eppure, è stato dimenticato.
(Da Tre donne, 1977)
Il già citato America oggi, M.A.S.H., Nashville, Jimmy Dean, Jimmy Dean, I compari, Streamers, I protagonisti, Prêt-à-porter, Radio America. Pellicole che, nonostante la patina glamour, avevano toni e narrazioni oscure e meste, che ben si adattavano ai suoi personaggi. Personaggi che spesso erano atipici, atipici perché non capivano ciò che facevano, perché non capivano l’America, perché non sapevano fare altro che cavarsela credendo che quello fosse vivere.
Non ha mai cambiato idea, il buon vecchio Bob.
Un regista che dirigeva immensi e piccoli set, grandi e piccoli attori, con il peso della controcultura alle spalle, senza necessariamente voler essere affabile e cortese con il cast.
Lo era stato con Forest Whitaker in Prêt-à-porter, ma solo per educazione.
Lo era stato per Danny Aiello anche lui in Prêt-à-porter, ma solo perché era italo-americano e ne apprezzava la splendente e furfante impudenza da sardonico italiano e, fra simili, ci si vuole sempre bene.
C’era dell’affetto anche per Virginia Madsen e per Keith Carradine. Alla prima, nella sua uscita di scena prima della morte, Radio America, voleva bene perché aveva conosciuto troppo in fretta e troppo brevemente il successo. Una sensazione a lui estranea. Motivo in più per premiarla, riscoprendola e affidandole lo splendido ruolo dell’angelo della morte che passeggia dietro le quinte di un’ultima rappresentazione di uno show popolare. Al secondo, che ha voluto in Nashville, voleva bene perché gli ricordava il suo periodo maudit, quando a Hollywood era considerato l’outsider, il bambino cattivo, quello di cui preoccuparsi, ma che, fintamente, cantava I’m Easy!
Ma l’essere e lo smettere d’essere un ribelle era stato scandito troppo presto dalle lancette del suo orologio da polso. E sotto quel cappello bianco sempre cacciato in testa, aveva deciso di rimettersi in riga, di evitare le sregolatezze di un altro leggendario rappresentante della generazione New Hollywood, Sam Peckinpah (più avventuroso di lui, più ribelle, più da mucchio selvaggio, più vicino al capolavoro), smettendo di bere…
Eppure, nonostante tutto, era rimasta la cruda ironia che trasudava in alcune incredibili sequenze dei suoi film, sempre superaffollatte di star che dirigeva in maniera intelligentemente crudele, nell’intento di bollire maggiormente il ritratto di un’aspra America
Coralità, esistenze, casini, discussioni… Schiettezza di un cinema che cercava di nascondere, vestire e travestire, solo per etichettargli un genere e che serviva al mero scopo di parlare d’altro.
Aveva una casa di produzione, la Sandcastle, Castello di Sabbia, se non è amore per l’umorismo questo!
(Da Anche gli uccelli uccidono, 1970)
Perché l’aveva chiamata così? Perché era sempre sul punto di chiudere.
Perché quest’uomo con la macchina da presa era un disonesto, un uomo che pretendeva di cogliere ciò che nel copione non c’era, trabocchi di realtà dietro l’apparenza.
Nessuno è attualmente come lui.
Nessuno ne ha raccolto l’eredità.
Non c’è sarcasmo nell’attuale cinema americano. Non c’è la dolenza post-bellica. Non c’è il crollo di ogni certezza e l’inizio delle tante, inutili, insicurezze. In tanti, parlano di libertà, ma nessuno è attirato dalla catastrofe, che sia imminente o meno, da quell’ansia esistenziale generata da una rivoluzione che oggi è bella che accantonata… forse anche detestata.
Fabio Secchi Frau