Magazine Diario personale

Altra persona

Da Romina @CodicediHodgkin

Sei a tavola e sbucci il tuo mandarino con una serietà tutta speciale, come se stessi disinnescando una bomba. Una concentratissima bambola di panna. Strappi un lembo di buccia e lo poggi con cura nel piatto. Lenta, precisa. Poi, ti accorgi che per sbaglio hai lasciato dei pezzetti di buccia sulla tovaglia e, sempre lentamente, con cura e attenzione, la prendi e la metti nel piatto. L’emulazione è quella che ti ha portato a sbucciare il mandarino da sola e staccarne gli spicchi (con calma, uno per volta, per poi ficcartene in bocca tre insieme, piccola ingorda). Mettere le bucce anche, in realtà, ma a nemmeno 15 mesi che differenza può fare, per te, metterle nel piatto piuttosto che sulla tovaglia? E’ secondario, rispetto al riuscire a mangiare il mandarino da sola. E’ una scelta. Non posso ricordare di certo cosa avrei fatto io alla tua età ma dubito che sarei stata così attenta.

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Al parco, corri sullo scivolo. Sali la scaletta spedita, ad ogni gradino ti dici “brava!”. Io preferivo l’altalena. Far lo sforzo di salire la scaletta per tre secondi di scivolata non è mai stato nella mia natura. Io ero una fan dell’altalena. Durava di più, non c’erano interruzioni. Salivo e andavo avanti a oltranza a volare. In ogni caso, mai e poi mai mi sarei detta brava.

Quando fai il bagno, il massimo dello spasso è mettere la faccia sott’acqua per un secondo. Di certo non te l’ho mai insegnato, né ti ho mai spinta a farlo. Io avevo una gran paura dell’acqua. Ho alle spalle 15 anni di nuoto, ma una vera “confidenza” con l’acqua non l’ho mai avuta nonostante la discreta tecnica e l’esperienza. Alla tua età, ma anche ben più grande, mai mi sarei sognata di ficcare la faccia sott’acqua. Per carità.

Stai mangiando pane e marmellata sul divano e ti viene sete. Il bicchiere è accanto a te. Io avrei poggiato il panino sul divano e bevuto. Tu hai dato il panino a me, bevuto e preso il bicchiere.

E’sera, facciamo il Gioco Metti a Posto. Le costruzioni in una scatola, gli altri giochi di piccole dimensioni in un’altra, le palline nella tenda. Non è qualcosa che ti ho realmente insegnato. Mi hai visto farlo e hai iniziato a farlo anche tu e così è nato il Gioco Metti a Posto. Sono di un disordinato patologico, ma cerco di migliorarmi per darti il famoso buon esempio. Infatti, la tua stanza a fine giornata è ordinatissima, il mio cassetto dei calzini tra un po’esploderà per come ci ficco dentro la roba. Il tuo carrellino primipassi è sempre stato in camera da pranzo. Sul davanti ha una mascherina con i buchi per infilarci le formine. Una delle formine è finita in cameretta. La prendi, ti alzi e esci dalla stanza. Sono già pronta a dirti “Hey, signorina, non abbiamo finito di mettere a posto, dove vai?!” (perché, pienamente consapevole del fatto che sei bravissima, mi permetto anche di essere rompipalle, accidenti a me) quando mi accorgo di una cosa: non hai smesso di riordinare, ti sei solo alzata per andare a mettere a posto la formina nel posto che le compete. Io l’avrei tranquillamente lasciata nella scatola dei giochi piccoli. Cioè, io adesso dovrei prendere la formina, alzarmi, andare di là, metterla dove deve stare e tornare qui? Follia. Per te è stato naturale. Stavo per rimproverarti (mero processo all’intenzione), per qualcosa che avrei fatto IO.

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Ad un mercatino di Natale, papà vuole comprarti un giochino delizioso e un po’ retrò. E’uno di quei bastoncini cui è attaccato un pupazzetto di legno che poggia in terra. Tu tieni il manico e cammini, e il pupazzetto si muove anche lui, muove le braccia picchiando un tamburello. Ne hai davanti una scatola piena e prendi il più brutto di tutti. E’fatto bene, come tutti gli altri. Ma è brutto. Un pagliaccio con due ciuffi di capelli di lana rossa ai lati della testa. Sarà che ho letto IT troppo presto ma a me i pagliacci mettono angoscia.  Te lo tolgo dalle mani e te ne do uno più grazioso, che al posto del pagliaccio ha una bambolina vestita da contadinella. Lo posi e riprendi il pagliaccio. Un’idea mi colpisce come un fulmine: il giocattolo era per TE, non per ME. TU dovevi scegliere, non IO. E tu avevi scelto il pagliaccio.

Quando eri appena nata, ti guardavo e con stupore mi dicevo “wow, tu sei una persona! Una persona…vera!”. Non prendermi per pazza, sapevo bene di non stare aspettando un pupazzetto di pelucche o qualcosa del genere ma vederti tra le mie braccia, un affarino di 3,2kg, che muoveva in modo sconclusionato quelle minuscole manine e pensare a te come una persona fatta e finita, con qualcosa di te che era già scritto, che era già TE, bhe, mi colpiva. Mille e mille volte, guardandoti, mi veniva da ridere pensandoti come “persona”. Non so se fa questo effetto a tutti ma, per me era così ed è così. Mi stupisce pensare a te come un’ adulta…solo più piccolo.

La vigilia di Natale compirai 15 mesi. Ora hai la mobilità e la consapevolezza di te sufficienti a dare dimostrazione della persona che sei attraverso piccole scelte. Piccole strategie. Preferenze per i giochi. Imparo a conoscerti attraverso tutto questo. E ogni volta mi dà un senso di stupore infinito pensare che sei una persona altra da me. Stupore e sollievo. E’così facile dare per scontato che io e te si sia in simbiosi, che siamo quasi la stessa persona. Per nove mesi lo siamo quasi state. Un corpo con due anime. Poi sei nata e tu, ovviamente, eri l’estensione di me. Io ti davo da mangiare, io ti facevo le coccole, io sceglievo il pupazzetto con cui fare il teatrino, io ti mandavo sull’altalena perché a cinque mesi solo quella potevi fare, io decidevo dove andare…

Tutto questo sta iniziando a cambiare. Scegli da sola con cosa giocare. Scegli quale libricino leggere in bagno. Ti sbucci i mandarini da sola. Scegli quale giostra preferisci. Scegli quale giocattolo ti sembra più carino. Al parco decidi in quale direzione passeggiare. Inizia un’interazione più concreta. Sei nata ieri e oggi sei già così autonoma. Eppure non lo dico con nostalgia. Un po’perché questi 15 mesi sono serviti a me per smussare tanti spigoli, per sviluppare un’affettività meno contenuta, più spontanea…più infantile. E poi perché questa tua autonomia gioca tutta a mio favore: scegli quando interrompere il gioco perché è ora di venirmi a dare un bacio, mi abbracci quando ne hai voglia, mi fai gli scherzetti quando faccio finta di dormire, ti avvicini per strofinare il naso contro il mio.

E’così affascinante vederti crescere. Sentirti così parte di me e al contempo realizzare che sei un individuo che non sono io. Che già ora compie scelte, piccole, certo, ma spesso diverse da quelle che avrei fatto io. Sei una persona, una persona diversa da me, altra, con il potenziale per essere migliore di me (detto tra noi, non è difficile). Un individuo a sé stante. Una storia diversa, che avrà un background diverso, opportunità diverse. Hai la tua IDENTITA’…che cosa meravigliosa è l’identità. E con malcelato orgoglio ti guardo e penso: “è una persona. E l’ho fatta io. Prima non c’era. Ora c’è. E’Vita ed è qualcosa di perfetto che dovrò inventarmi qualcosa per non danneggiare”.

TU sei perché IO sono. Ma non TU non sei ME. Che sollievo infinito.


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