Tra i titoli pubblici di finanza straordinaria ci sono i BOC (Buoni Ordinari Comunali), i BOP (Buoni Ordinari Provinciali) e i BOR (Buoni Ordinari Regionali). Sono stati istituiti nel 1995 come titoli del debito pubblico italiano dei Comuni, delle Province, delle Regioni. Sono destinati esclusivamente al finanziamento degli investimenti pubblici, in particolare alla realizzazione di opere pubbliche, ma non alla copertura delle spese correnti.
Con la giustificazione, più o meno convincente, che Regioni, Province e Comuni ricevono sempre meno trasferimenti di denaro da Roma, negli anni passati è stata data anche a loro la possibilità di emettere obbligazioni per finanziarsi.
Finora i sottoscrittori di queste obbligazioni sono stati, non gli investitori privati, ma
le grandi istituzioni finanziarie, italiane ed estere. E’ questo un sistema facile che consente agli enti locali di collocare le obbligazioni in tempi molto brevi.
Alcune istituzioni destinatarie dei titoli degli enti locali (le banche in particolare) possono, a loro volta, vendere ai propri clienti le obbligazioni che hanno in portafoglio (ma non è una prassi molto seguita). Alcune di queste emissioni sono quotate al listino di Borsa, sul circuito Mot (Mercato Obbligazionario Telematico), ma il loro grado di liquidità è molto modesto e, di conseguenza, sono scarsi gli scambi effettuati ogni giorno.
I Buoni degli enti locali hanno una struttura diversa rispetto ai titoli di Stato. La differenza è nel sistema di rimborso, che non avviene in un’unica soluzione alla scadenza come per i titoli di Stato, ma frazionato, ad ogno stacco della cedola. Per cui gli investitori incassano, ad ogni singola scadenza, una cifra comprendente gli interessi e una quota parte del capitale investito.
La durata di queste emissioni è in genere compresa tra cinque e i venti anni. A sancire la loro nascita è stata la legge 23/12/94 n. 724 ed il successivo regolamento attuativo emanato il 29 gennaio 1996 dal Ministero del Tesoro. Il rendimento a scadenza è superiore di circa un punto percentuale a quello dei titoli di Stato. Il tasso a scadenza però è subordinato al reinvestimento, ad ogni stacco della cedola, sia degli interessi che della quota di capitale rimborsato, per evitare che i presupposti di rendimento vengano disattesi. Il loro rendimento è soggetto ad una ritenuta fiscale del 12.50%.
Considerazione personale: La resa dopo vent’anni è discreta, però, indipendentemente dalla loro bontà, cè da fidarsi a prestare soldi agli enti locali, come ad un Comune che, per esempio, non riesce a gestire l’emergenza rifiuti? Con tutto quello che già versiamo con gabelle e addizionali, presteremmo davvero i soldi alle nostre città, anzi a chi gestisce le nostre città? Questo è un Paese dove è diventato difficile anche sincronizzare i semafori e riempire le buche per strada. C’è forse un motivo per cui debbano riempirle con i nostri risparmi?