Nella Venezia del XV sec. due famiglie si contendono la posizione di prima bottega pittorica della città.
I Bellini e i Vivarini. Per quest’ultimi, il capostipite Antonio, segna il punto di fusione tra il tardogotico veneziano e il Rinascimento.
Lo fa con una delicatezza e una ricchezza decorativa che in seguito, il fratello Bartolomeo conduce verso una maggiore linearità formale.
Alvise (nato nel 1446 e morto verso il 1502), figlio di Antonio rappresenta la piena maturazione della scuola muranese dei Vivarini che oltre che agli insegnamenti del padre Antonio e dello zio Bartolomeo, deve molto anche all’influenza che su di lui viene esercitata da Giovanni Bellini e da Antonello da Messina. Influenza che Alvise traduce con un’intensa sfumatura intimista e sentimentale che verrà fatta propria in seguito da Lorenzo Lotto. Di mentalità aperta e curiosa, Alvise stempera gli stilemi del Mantegna in colori pieni e caldi. E proprio il 1476, anno della visita a Venezia di Antonello da Messina, è l’anno del primo Polittico datato e firmato da Alvise.
Gli ultimi anni del XV secolo consacrarono Alvise Vivarini e Giovanni Bellini come gli artisti più importanti della città di Venezia.
Entrambi fanno parte di una dinastia di pittori, entrambi ne rappresentano il punto più alto, entrambi innovano la pittura veneta sciogliendo le briglie della scuola bizantina per farla aderire ai nuovi linguaggi rinascimentali. Notevole ritrattista, nel 1488 si vede concedere dalla Signoria di Venezia, in condivisione con Bellini l’incarico di decorare la Sala del Gran Consiglio del Palazzo Ducale. Il risultato, bruciato purtroppo nell’incendio del 1577, soddisfa talmente il Consiglio che Alvise Vivarini ottiene la nomina a Depentor in Gran Conseio, con uno stipendio di cinque ducati al mese. La sua ultima opera è L’Apoteosi di S. Ambrogio (1503) nella Cappella Milimesi dei Frari, a Venezia, completata, dopo la sua morte dall’allievo Marco Basaiti.
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