Amadeus (1984) è uno dei film più discussi della storia della musica classica. Ed è anche un film che ho amato poco da piccolo (e da giovane). Ora che non sono più un bambino né un ragazzino e che, per la prima volta, lo vedo con una minima consapevolezza di Wolfgang Amadeus Mozart e dei suoi capolavori, mi trovo singolarmente in una strana condizione di empatia con questo lungometraggio di Milos Forman (su sceneggiatura di Peter Schaffer).Il mio problema non è mai consistito nell'esattezza filologica di molti dati: come nel caso di Orlando - e anzi qui a maggior ragione, in quanto si tratta di un film biografico - riesco a distinguere l'opera d'arte originale dai realia che l'hanno ispirata. Tra l'altro, è anche possibile, per qualcuno più preparato di me, rintracciare i sentieri di fonti storico-letterarie che hanno trasformato un'età aurea della musica europea in un complesso universo mitologico.
La forma intervista (confessione, nel caso specifico) mi trova piuttosto freddo, per non dire recalcitrante. In più, l'idea di interpellare un personaggio, Antonio Salieri (F. Murray Abraham) che si dice acerrimo nemico della persona di cui si racconta la storia mi pare che rischi di squalificare indebitamente quel po' di verosimiglianza che il racconto potrebbe meritare. C'è, alla base di Amadeus, un problema di filtri, non ultimo quello dei destinatari: prodotto per un grande pubblico, il film di Milos Forman prevedeva spettatori medi, con una preparazione musicale disomogenea ma con un interesse per le arti più organico e solido rispetto al pubblico attuale.
In sostanza, le informazioni sull'artista Mozart (Tom Hulce) erano insufficienti o note o romanzate per coloro avessero modo, voglia o interesse a vedere Amadeus di Milos Forman con sguardo attento, se non critico. Non sfugge a nessuno, insomma, l'assenza di titoli importanti della produzione operistica del compositore, (Così fan tutte e La clemenza di Tito, per fare due esempi), mentre colpisce il quasi totale appiattimento di Mozart sulla musica per il teatro (e non so quanto questo sia conseguenza dello sguardo di Salieri, in quanto compositore di corte).
Le esigenze narrative di un film, sia pure lungo come questo, portano ad accorpare vicende che richiederebbero ben altri intervalli e, d'altra parte, è normale che l'interesse per l'uomo Mozart dipenda dall'amore per il musicista. Ma non occorre una dose spaventosa di moralismo per rimanere perplessi di fronte alla romantica sottolineatura del genio dionisiaco a detrimento della neoclassica pacatezza formale viennese alla corte di Giuseppe II (Jeffrey Jones).
Che Mozart preferisca le donnine allegre e disponibili alla sua amatissima Constanze (Elizabeth Berridge) o la compagnia di uno Schikaneder qualsiasi (Simon Callow) alla nobiltà di corte, mi dice poco anche sull'artista. Il problema, nei film biografici, è sempre la focalizzazione. Di cosa voglio parlare? Senza arrivare all'assurdo di distinguere l'uomo dal suo agire, è bene però precisare che l'agire è pressoché un'invenzione romanzesca dell'autore del film per raccordare in modo creativo e convincente documenti e conoscenze su Mozart. Chi basi un giudizio su un fattore così esteriore rischia di essere fuorviato dalla natura stessa di ciò con cui si confronta.Eppure, oggi, è stata proprio questa fuga da ogni possibile ritratto, quest'esigenza di fantasia, questo tentativo di ricostruire l'uomo schiacciato dal genio, a rendermi Wolfgang Amadeus Mozart più vicino. Se accettiamo il ritratto di una persona fuori dagli schemi, in me parte il tentativo di ricerca che mi costringe a prendere posizione e formulare un'idea, a impadronirmi della sua vita, e farlo attraverso l'arte. E a impadronirmi della sua arte attraverso la mia vita.






