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Amazon, autopubblicazioni e post a reti unificate

Creato il 26 ottobre 2011 da Fant @fantasyitaliano

Qualche settimana fa sul web si è protestato contro il cosiddetto comma ammazza blog con un post a reti unificate. Tanto per dimostrare che il web è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti tocca, oggi Lara Manni e Giovanni Arduino hanno confezionato con metodo simile questo post per comunicarci che “Amazon non è un’opera pia”.

Partiamo subito dicendo che il modo migliore per capire quale sia la realtà è guardare ai dati. Nel post, per stessa ammissione degli autori, questo non avviene. Si afferma, per dirne una, che J.A. Konrath abbia speso grandi cifre (quali?) ed energie nella promozione dei suoi romanzi e che solo grazie a queste sia riuscito ad auto-pubblicarsi bypassando le case editrici. Di certo questo è vero, ma in che senso ciò inficia il ragionamento che è dietro l’auto produzione e l’auto pubblicazione?

La promozione è positiva se viene da una casa editrice mentre sballa i ragionamenti se viene dal singolo che la fa di tasca propria? Oppure vuole dire che Konrath era miliardario prima di cominciare a pubblicare e solo grazie a grandi investimenti ora riesce a guadagnare bene pubblicando? Oppure ancora si intendeva dire che gli autori che si autopubblicano su Amazon non dovrebbero fare autopromozione perché la pubblicità l’ha inventata il demonio?

La seconda parte del post invece parte da un assunto sbagliato. Ovvero che tutti quelli che pubblicano su Amazon si aspettano di vendere milioni di copie e vivere da scrittori, cosa che viene anche ripresa dal titolo del post “Tanto mi pubblico il libro su Amazon” che ridicolizza gli autori che per un motivo o per un altro, ricorrono a questa modalità di pubblicazione.

Questo è semplicemente sbagliato perché si fa passare l’autopubblicazione come un ripiego mentre invece c’è un numero sempre più alto di autori, ne cito uno, che la intraprende come una precisa scelta etica.

Chiunque, oggi, può aprire un e-commerce con una spesa irrisoria (paragonata alle spese di un negozio vero e proprio), figuriamoci una casa editrice digitale che non vende altro che dati in binario. Certo non beneficerà della diffusione capillare di Amazon, ma, se per questo, nemmeno un piccolo editore beneficia di tutti i vantaggi che le grandi case editrici hanno in Italia (vedi certe leggi fatte dal governo per ostacolare la concorrenza ed evitare pesanti multe).

Si estremizzano le posizioni per parlare di ciò che già dovrebbe essere dato per scontato. Credo si possano contare sulle dita della mano di un monco le persone che sostengono che Amazon sia una creatura salvifica. L’editoria classica è finita e non sarà la negazione di questo fatto a riportarla in vita. Semmai si dovrebbe parlare di come gli editori degni di questo nome affronteranno la crisi; se, come hanno fatto finora i grandi gruppi in Italia, tenteranno di ostacolare la storia che avanza, o se si adegueranno ai tempi salvando il salvabile (e la faccia).

Amazon ha il ruolo di nave rompighiaccio. Una volta che il modo di pubblicare sarà entrato in testa alla gente potranno nascere mille altre Amazon che si faranno concorrenza, a vantaggio del consumatore. Del resto sarebbe difficile leggere un ebook senza ebook reader e serve che qualcuno produca e sia interessato a vendere simili oggetti. Non mi pare che in Italia ci siano le strutture e la volontà per farlo.

Io personalmente andrei anche oltre. Mai sentito parlare di eterogenesi dei fini? Anche una multinazionale può fare il bene delle masse, persino a sua insaputa. In questo caso la sciaguratissima Amazon è l’unica che può redimere masse di italiani che fanno già fatica a leggere su carta, figuriamoci su e-reader. Se poi siamo contro le multinazionali a prescindere, e a me va benissimo, allora si smetta pure di pubblicare con le case editrici italiane, specialmente a quelle legate a lobby di interessi che fanno sfigurare la saga del padrino.

Se la domanda sottintesa all’intero discorso è la seguente: “Fa Amazon schifo perché è una multinazionale che pensa solo ai profitti?” La mia risposta è .

Se l’altra domanda implicita è “Da autori e lettori ce ne frega qualcosa?” La mia risposta è no.

Non ha alcuna rilevanza.

Occorre scegliere tra due mali, uno dei quali lo abbiamo già ampiamente sperimentato.

Usando una metafora, è come se di fronte alla rivoluzione dell’home computing qualcuno si fosse impuntato che Microsoft era una multinazionale e dunque era preferibile continuare ad usare le macchine da scrivere. Se la Microsoft non ci avesse portato il computer a casa ora non ci sarebbe l’open source e probabilmente nemmeno Linux. Ora io uso Linux, Firefox, Openoffice e per quanto possibile solo programmi open source, ma devo ammettere che tutto questo non ci sarebbe stato senza la rivoluzione portata dal malvagio Bill Gates. Che senso ha gridare al lupo al lupo quando il lupo è già entrato in casa e ci sta smozzicando i piedi?

L’intero discorso, a mio avviso, è viziato da un modo di pensare proprio dei conservatori che fa passare lo status quo per lo stato di natura in quanto tale. L’industria culturale così come la conosciamo e storicamente determinata. È un espediente retorico vecchio come il mondo fare passare qualcosa di contingente per necessario e irrinunciabile.

Chi ha il coraggio di mettersi contro il papa? In fondo quel Lutero è pure peggio. Non è pure lui un prete? Perché non ci ha pensato prima di denunciare le efferatezze del papato? Ma non lo sapete che Lutero è antisemita esattamente come il papa e tutti i cattolici? Come si permette di contestare l’ordine universale sancito da Dio e da tutti i santi?

Poi si afferma che l’editoria tradizionale guardava come ad un cugino scemo Amazon. Dunque non dovremmo essere dalla parte di chi non è nemmeno in grado di coprirsi le spalle. Straordinario. C’è uno scontro in corso tra due modi di vedere il mondo dell’editoria e dovremmo metterci dalla parte dei vecchi miopi che non riescono a vedere nemmeno il treno che li sta travolgendo. Semmai faccio segno al macchinista di accelerare, non mi metto dalla parte del vecchio.

Nella pratica, ciò che ancora non si è ancora considerato è il lato social della faccenda. D’accordo, tutti saranno in grado di pubblicare (grande caos, madri che perderanno i propri figli, padri di famiglia verranno giustiziati), e allora? Questo non significa necessariamente che ognuno di noi sarà sommerso da materiale digitale tanto sovrabbondante da bruciarci i neuroni, significa solo che l’offerta sarà tanto ampia che alla fine solo le opere più meritevoli verranno promosse da una maggiore diffusione. Chiariamo il concetto di “meritevole”, perché già vedo piombare le critiche; più o meno come Wu Ming 2 aveva criticato  il concetto di “opera valida per il lettore” contenuto nel Libretto Rosa di Finzioni:

Chi stabilisce oggi cosa è degno di essere pubblicato e dunque diffuso?

Le case editrici.

Chi stabilirà in futuro che cosa è degno di essere diffuso?

I lettori.

Questo risvolto della questione viene analizzata più degnamente in questo articolo.

Per come la vedo io, saranno i lettori attraverso il meccanismo di feedback a decidere cosa è meritevole di lettura e cosa no. Se questo è valido per i negozi su Ebay, per i siti internet (andate a vedere questo concetto qua), perché non può esserlo in tempi rapidi anche per i libri?. È un concetto che più che meritocratico definirei democratico. Sul Web, ciascuno può esprimere la sua valutazione su qualsiasi cosa e questo contribuisce alla diffusione o al fallimento, ciascuno ha un certo livello di autorevolezza non gerarchica stabilito dall’intera comunità. Vale per un post, un libro o qualsiasi oggetto in vendita. Non vi va bene? Pensate che tra il popolo e la sua scelta debba esserci necessariamente qualche filtro, qualche consiglio di amministrazione che indirizzi per il meglio la volontà delle masse?

Tutto questo può non piacere, ma quali sono le alternative? Se non è la collaborazione di molti (il cosiddetto passavoce 2.0) a decretare il successo di un’opera, allora lo sarà la decisione arbitraria di una lobby editoriale. Punto.

Se non accettate questo ragionamento, rassegnatevi al fatto di essere dalla parte dell’aristocrazia dell’informazione.

Nulla di male, ma fatevene una ragione.


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