[...] La prima guerra mondiale sembrò doverlo seppellire viceversa esso ridebuttò, nel febbraio 1921, con uno spiegamento più ampio e articolato e con il trasferimento della sfilata dei carri (diventati più imponenti e più belli tecnicamente parlando) sul lungomare. Dai carri su "Il trionfo del progresso" o su "La pace universale" di fine e inizio secolo, detti allora "trionfali" e che la borghesia locale d'alto bordo e gli ufficiali della Capitaneria di Porto guardavano compiaciuti dalle logge del Casinò affacciantisi sulla via Regia, si giunse a composizioni impegnate e edificanti sotto l'aspetto satirico che non si sarebbero mai immaginate. Non si trattavaa di carri trainati da cavalli (in qualche caso da pazienti buoi) e di maschere animate da persone reali oppure di carri senza traino e quindi immobili. Erano carri che si muovevano per impulso meccanico, erano carri dove le maschere dominanti erano fatte di cartapesta. Erano carri dove confluiva l'ingegno di pittori e grafici oltre che di artigiani-artisti.
Da quel momento se da una parte si andò alla ricerca di chi sapeva e poteva perfezionare i complessi macchinari occorrenti a motorizzare le mastodontiche strutture che i carri costituiscono, si chiamarono anche a raccolta coloro che erano in grado di creare manifesti per la promozione del carnevale.
Si decise perciò di bandire un concorso che la prima volta (1926) venne vinto dal pittore-litografo fiorentino, Lucio Venna, formatosi alla scuola futurista di Balla e Depero. La composizione era un languido Pierrot che canta su una barca la cui chiglia ha la forma di chitarra.
Ma Pierrot non poteva simboleggiare la inesistente maschera viareggina e qualche anno dopo, nel 1930 per la precisione, un pittore-cartellonista geniale e viareggino verace la creò chiamandola "Burlamacco" per saldarla a quel canale Burlamacca che scorre dal molo alle radici del cittadino cavalcavia a levante, e caratteristiche che la ricollegano e ne fanno la degna discendente delle maschere della Commedia dell'Arte. L'artista si chiama Uberto Bonetti.
( Amelia Bottero, articolo "La febbre del carnevale" datato febbraio 1962 e pubblicato anche nel libro "Versilia giovinezza del mondo", pag.35/36 - Edizioni Maria Pacini Fazzi , 1982 )