Astrid Rosenthal von-der Pütten, ricercatrice all’Università di Duisburg-Essen, in Germania, si è fatta una domanda molto semplice: che emozioni proveremmo (o proveremo, a seconda dei punti di vista) se vedessimo un robot torturato sotto i nostro occhi?
È vero che può sembrare, a prima vista, un quesito che lascia il tempo che trova. Eppure, la studiosa è autrice di due recenti studi sulle modalità con cui gli umani entrano in empatia con le macchine. In particolare, la Rosenthal von-der Pütten ha tratto ispirazione per le sue ricerche dal recente sviluppo del cosiddetto “robotic assisted living”; vale a dire, l’impiego di robot per la gestione casalinga, o automi che riescono a comprendere quando un essere umano è felice, o triste, e reagire di conseguenza.
Per condurre il suo studio, è stato utilizzato un piccolo dinosauro-robot, Pleo. Ai soggetti “esaminati” è stata proposta la visione di due video: nel primo, Pleo veniva accarezzato e reagiva positivamente, come farebbero un cane o un gatto. Nel video successivo, il “piccolo” Pleo veniva invece sottoposto a una serie di abusi e violenze, uno dopo l’altro.
Attraverso un sistema di risonanza magnetica funzionale, è stato notato che, nel secondo caso, durante la visione si è generato uno stato di stress nei soggetti partecipanti all’esperimento. Peraltro, gli stessi soggetti hanno riferito di sensazioni negative provate durante la visione del video sulle “torture”.
Un dato di fatto è che i robot finiranno per pervadere la nostra vita quotidiana, aiutandoci, tenendoci compagnia, interagendo con noi nei modi più vari. Saremo capaci di trattarli come fossero esseri umani? E, per di più, sarà davvero meglio?