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AMERICAN – HISTORY – CATCH – Foxcatcher – Una storia americana

Creato il 12 marzo 2015 da Oggialcinemanet @oggialcinema

commento di Maurizio Ermisino

Summary:

FOXCATCHER, il film di Bennet Miller ci racconta una storia ambientata nel mondo della lotta libera per parlarci dell’America.

Se a un certo punto di un film entra in scena una pistola, è sicuro che prima o poi sparerà. Parola di Sir Alfred Hitchcock. Foxcatcher non sfugge a questa regola ferrea del cinema: finisce in tragedia, dopo un incedere inquietante e carico di tensione. Foxcatcher racconta una storia vera: quella di Mark Schultz, campione di lotta libera, oro alle Olimpiadi di Los Angeles nel 1984, di suo fratello Dave, lottatore e allenatore di Mark, e della proposta che entrambi ricevettero dal miliardario John Du Pont. Appassionato di lotta, in cerca di rivincite personali e pubbliche, il magnate propose loro un contratto per formare un team di lotta libera – si chiamerà Foxcatcher, come la tenuta di Du Pont – in grado di puntare alle Olimpiadi di Seul del 1988. Du Pont lo fa perché ama la lotta, per sostenere atleti che, a differenza dei sovietici, non sono tenuti molto in considerazione dal proprio paese, “per dare una speranza all’America” come dice lui. Ma tra lo schizofrenico miliardario e l’ingenuo Mark si instaura uno strano rapporto. “Un coach è un fratello, un mentore, un padre, un leader” sentiamo dire a Du Pont in un’intervista. E capiamo come Mark diventi per lui quell’amico e quella famiglia che non ha mai avuto.

Foxcatcher è prima di tutto uno di quei grandi film di attori, di quei grandi ruoli preparati con meticolosità e resi con un grande lavoro di mimesi e di sottrazione. Channing Tatum è il campione Mark Schultz: ingrossato, ispessito non solo nel fisico ma anche nel volto, i suoi tratti, resi rudi dall’espressione e da un lavoro sulla mascella, perdono quel po’ di dolcezza che eravamo abituati a trovare in lui. Ma il suo broncio costante e il fisico possente non celano due occhi da cucciolo spaesato, da ragazzo senza famiglia qual è Mark. Mark Ruffalo è il fratello Dave, una barba ispida a sporcare i tratti gentili, e un grande lavoro sul corpo e sulle movenze, quasi animali, dentro e fuori dal campo di lotta. Ma la parte del leone la fa Steve Carell, nel ruolo di John Du Pont: irriconoscibile, invecchiato e appesantito sotto un pesante trucco, fa un grande lavoro sullo sguardo e sulla voce (se potete vedete il film in lingua originale). Gli occhi sono spenti, fissi, hanno quella calma apparente prima che si scateni una tempesta. La voce è flebile, ed è accompagnata da un mezzo sorriso, che trasmette inquietudine più che sicurezza. Carell ha raccontato che, nei primi giorni di riprese, era solito restare sul set con la maschera e il grande naso finto, e questo creava inquietudine nel cast e nella troupe. L’attore ha ammesso come il suo sia un personaggio disturbante, e che sia stato meglio lavorare lontano da Los Angeles (in Pennsylvania) e dalla propria famiglia. Foxcatcher è uno di quei film che lasciano il segno: in chi guarda, ma anche in chi ci lavora. Durante le scene di lotta, ricostruite alla perfezione, così come l’atmosfera dei secondi anni Ottanta, ci sono state contusioni, lividi, addirittura un timpano di Tatum che è stato danneggiato. Foxcatcher è reale anche per questo, non solo per la storia vera che racconta.
Foxcatcher è cinema classico, cinema che è perfetta ricostruzione del reale, ma non per questo non riesce ad essere metafora. La storia di Du Pont e dei Fratelli Schultz ci racconta in realtà quella di un’America che crede che tutto si compri con i soldi o si risolva con un’arma. C’è la pistola di cui sopra, ma tutto il film è costellato dalla presenza di armi, e le scene di lotta si intervallano a quelle di storiche guerre americane, di carri armati e fucili. Quasi a voler sottintendere un’idea di violenza che una certa America persegue in nome di un patriottismo fine a se stesso. Du Pont, conservatore e reazionario, negli anni Ottanta parla di “una nazione che ha perso la propria morale e i propri valori”. Il suo impegno nel team Foxcatcher è qualcosa che fa, oltre che per riscossa personale, anche per quella di un’intera nazione. Tra le parole che un regista chiede a Dave di usare in un’intervista per un documentario su Du Pont c’è “dominio”. È una parola che più di tutte racchiude il senso di una storia come quella di Foxcatcher. E di tutta una serie di storie americane.

di Maurizio Ermisino per Oggialcinema.net


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