Ispirato alla biografia del più famoso e letale cecchino americano, Chris Kyle, il film si apre con il racconto della prima vittima che entra nel mirino del protagonista: è un bambino che sta per tirare una granata contro dei soldati americani che Kyle ha il compito di proteggere. Prima che si veda come finisce l'azione parte il flash back che rievoca la formazione del protagonista, l'influenza del padre che lo inizia alla caccia e gli spiega che il mondo si divide in tre categorie: pecore lupi e cani da pastore, le pecore sono la massa imbelle, i lupi sono i violenti che godono a fare del male e i cani da pastore sono quelli che sanno gestire la violenza e usarla “nobilmente” per proteggere i più deboli. Con queste idee ben stampate in tesa, Kyle, dopo aver provato a fare il cowboy, decide di servire il suo Paese per proteggerlo dagli attacchi che si fanno sempre più frequenti dal 1999 per culminare con l'11 settembre. Dopo questa presentazione siamo pronti per vedere la morte di un ragazzino attraverso il mirino di un cecchino che ovviamente odi (a me poi odiare Bradley Cooper viene naturalissimo). Pare (fonte wikipedia) che Kyle non sparò a quel bambino quindi la scelta di discostarsi dalla realtà in un modo così odioso sottolinea la grandezza di Eastwood che sta, come sempre, nel mostrare e smontare la complessità di un convincimento. Fin da subito Kyle non gioisce del suo gesto, non si bea della gloria di essere The Legend, vive sulla sua pelle il compito di salvare quanti più soldati possibile non riuscendo a liberarsi dell'incubo della guerra neppure quando è a casa con la famiglia.
C'è in American sniper una reminiscenza del dittico di Flag of ours fathers e Letters from Iwo Jima: se in quel caso il regista aveva dedicato due film ai distinti punti di vista, americano e giapponese qui la contrapposizione si risolve con lo scontro con Mustafa il miglior cecchino iracheno, un olimpionico siriano: al rivale non è riservato neppure un dialogo ma si intuisce la stessa calma e dedizione che muovono Kyle e in una scena, quando deve uscire per una missione, lo sguardo rassegnato della moglie con in braccio il figlio ha la stessa valenza della disperazione che vive la moglie dell'americano.
Se la guerra in campo è raccontata attraverso il mirino ad alta precisione di un fucile, l'omicidio di Kyle non viene inserito nel film ma raccontato da una didascalia, perché The Legend non cade in battaglia ma viene ucciso al poligono di tiro da un commilitone che voleva aiutare, fedele al comando di essere un buon cane da pastore per le proprie pecore ma la guerra fa impazzire anche gli animali più mansueti e certe beffe del destino fanno più effetto senza il supporto d'immagini. Partono le immagini di repertorio del funerale lasciandoci con l'ardua sentenza di capire se fu vera gloria..
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