di Renzo Zambello
A mio parere c’è una sottovalutazione clinica e sociale di quella che normalmente viene chiamata “nevrosi ipocondriaca”.
L’ipocondriaco si caratterizza per una eccessiva e continua attenzione al proprio corpo, alla propria salute fisica e da una sproporzione fra l’apprensione, l’ansia che il soggetto prova ed un eventuale disturbo organico o funzionale. Psicologicamente tale ansia si associa spesso ad un pietoso stato di depressione cronica che si cortocircuita a livello somatico. Sono persone che tendono a somatizzare, soffrono spesso di quelle che diagnostichiamo come malattie psicosomatiche. Socialmente queste persone si propongono ai familiari, medici, amici e conoscenti come se fossero continuamente colpiti da malattie gravi, in un continuo pericolo di vita.
L’ipocondriaco è ammalato di paura di ammalarsi. La letteratura con Molière e il suo “Malato immaginario”, ha tratteggiato un quadro di tale sofferenza, mettendo in risalto l’insicurezza cronica, la continua e immotivata paura, la grottesca e irrazionale condotta terapeutica che muovere in noi un sorriso.
Ma se pensiamo che secondo statistiche abbastanza credibili, il 2, 3 % della popolazione è affetta da questo disturbo e che gran parte della popolazione che ogni giorno frequenta le sale di attesa del medico di base ha motivazioni ipocondriache, ci rendiamo conto che tutto ciò ha dei costi individuali e sociali altissimi e forse il sorriso si spegne. Queste sono persone che fanno collezione di piccoli e a volte, purtroppo, grandi interventi. Riescono a farsi togliere di tutto: cisti, nodulini, fibrometti, pendice, tonsille, farsi fare gli esami clinici e tanto peggio strumentali in ogni parte del corpo. Passano da uno specialista all’altro e non trovano mai alcun giovamento dalle numerose cure praticate e il quadro clinico rimane sempre invariato. Pensiamo alle migliaia e migliaia di esami clinici che vengono fatti non per una necessità diagnostica ma per quietare un’ansia che per altro non sarà mai sedabile.
Tutti conosciamo l’enorme quantità di medicine da banco e prescritte che vengono buttate via, comprate e a volte gettate, senza neanche aprire la scatola. Ma ciò che ci interessa, sono le motivazioni psicologiche di quest’ansia che apparentemente si rigenera e non si placa mai. Il malessere psicologico, reale, del paziente ipocondriaco pone problemi terapeutici difficili: questi pazienti, pur riconoscendo l’irrazionalità delle loro preoccupazioni, non accettano d’essere inseriti all’interno di un protocollo psichiatrico e difficilmente ammettono un disagio psicologico. Possono e solo in alcuni casi, accettare interventi miranti a diminuire lo stress, senza chiaramente toccare le cause che l’hanno provocato.
La psicanalisi ci ha spiegato che l’ipocondriaco, per motivi legati alle difficoltà che presumibilmente ha incontrato nei primi anni di vita, ad un certo punto ha ritirato il suo investimento affettivo, libidico, aggressivo sugli altri e l’ha concentrato su se stesso. Ciò comporta un’ansia terribile, un corto circuito energetico che attiva pulsioni di morte che vengono bloccate dalla paura di morire.Il paziente ha paura di morire perché vuole morire. Al paziente interessa, vuole, sentirsi ammalato, perché, finché è ammalato, c’è qualcuno all’esterno della sua situazione mortifera interna che lo vuole vivo; finché è ammalato non rischia di morire. Paradossalmente, ma non troppo, il medico giusto è quello che non cura mai questi pazienti, che è disposto ad essere sconfitto da questi malati sani e che accetta di vivere una funzione contenitrice.
Video: Ipocondria e Psicoterapia
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