Anna Lombroso per il Simplicissimus
Ho troppo rispetto per gli affezionati lettori di questo blog per cedere alla tentazione di fare copia incolla con uno dei molti post che nel tempo ho dedicato a Pompei preservata dalla lava per essere distrutta dai contemporanei. Perché ancora una volta, come innumerevoli altre volte, è bastata un po’ di pioggia per determinare uno smottamento del terreno dove sorge la Casa di Severus, lungo il costone roccioso meridionale. Scavi effettuati in tre tempi, nel 1797, nel 1883 e nel 1928 avevano portato alla luce le due abitazioni su due piani, il giardino dove si trovava una piscina, rivelando gli atri e le loro ricche pavimentazioni, le stanze da letto, le scale.
Insomma ieri il maltempo di un giorno e la malagestione di questi ultimi anni, nei quali si sono prodotti progetti visionari e piani d’azione futuristi, trascurando la piccola modesta cura quotidiana, si sono presi una vendetta su tre secoli di ordinaria manutenzione proprio in un’area che fa parte del programma di messa in sicurezza della Regio VIII previsto dal Grande Progetto Pompei.
C’è chi si è sentito rassicurato dall’omelia del nuovo presidente che anziché riferirsi al nostro patrimonio d’arte come a giacimenti di petrolio da sfruttare, ha invece detto che «garantire la Costituzione significa» anche «amare i nostri tesori artistici e ambientali». È già un passo avanti rispetto al delirio di sciocchezze governative, inanellate a raffica più per promuovere gli sponsor amici, che per difendere ed esaltare la bellezza e la storia del nostro Paese.
Ma anche certi mariti e amanti sostengono di amare le donne che ammazzano di botte, perfino Renzi e la Boschi potrebbero sostenere di amare la democrazia, per non dire di Berlusconi che ama talmente la libertà da averle intitolato il partito. Amare vuol dire invece comprendere i bisogni, prendersi cura, dare aiuto senza chiedere contropartita, conservare con sollecitudine il bene oggetto del proprio attaccamento. Mentre il nostro ceto dirigente mostra per i beni comuni, arte, cultura, ambiente, paesaggio, città, risorse, i sentimenti del pappone pronto a vendere le grazie di quella che considera merce di sua esclusiva proprietà, che deve rendere come una macchina per far soldi, come disse degli Uffizi l’allora sindaco oggi premier.
Così non ci resta che aspettare la buona novella del reperimento di generosi mecenati che si comprino i favori di Pompei, dopo essersi aggiudicati quelli del Colosseo e di innumerevoli altri monumenti e siti, magari da tinteggiare con i colori di moda della collezione estate, magari da trasportare in giro come Madonne pellegrine e da esporre in fiere del cotechino, magari da “ornare” e modernamente valorizzare con villette a schiera, magari da vivacizzare con giochi d’acqua, son et lumière, magari da “ottimizzare”, piazzandoci sotto un bel rigassificatore come nella Valle dei Templi.
Finora l’unica esperienza di aiuto che assomigli più al mecenatismo che al volgare sfruttamento è quella di Ercolano dove dal 2001 la Soprintendenza di Napoli e la fondazione di David W. Packard (figlio del magnate americano proprietario del colosso informatico HP) hanno sottoscritto una partnership che ha reso il sito archeologico della cittadina campana un modello anche per l’Unesco. E dove, quando a novembre del 2013 si sono verificati dei cedimenti, nel giro di dieci giorni il problema è stato affrontato, in parte risolto, sicuramente compreso. In questi anni la fondazione senza scopo di lucro Packard ha investito oltre 20 milioni di euro nell’area archeologica campana in un progetto a lungo termine per la tutela e la manutenzione dell’area, che nel 2001 era stata definita dall’Unesco “quella in peggior stato conservativo”, senza riscontri pubblicitari, senza trattarla come uno strumenti propagandistico in spot e convention, anche grazie alla stretta collaborazione con la Soprintendenza, con il suo ufficio tecnico e con la direzione degli scavi.
Ma figuriamoci se ai patroni dei beni artistici di casa nostra, amministratori, ministri, imprenditori, mafiosi, può bastare un’attività “VeryModesta”, così quotidiana, così “ordinaria”, così poco profittevole per l’immagine, per le ricadute di marketing, per la possibilità non remota di convertire auguste rovine in sfondo per speculazioni immobiliari.
Intorno a Pompei si è sviluppata ogni forma di perversione futurista, dalla proposta di farne una smart city, fortunatamente tramontata proprio è successo per l’Aquila, al megalomane progetto GPP del governo Monti, una specie di Azione Parallela, che, tramite non meglio identificate sinergie, scenari più virtuali che virtuosi e “macchine” acchiappa citrulli, doveva “fare da volano alla crescita economica del Mezzogiorno”, accreditarsi come sperimentazione pilota perché “Pompei è una grande metafora dell’Europa ma anche dell’occidente” (e questo spiega molte cose. N.di R.), quindi doverosamente attrezzato di super commissariamenti, mega fondazioni, strutture speciali e task force eccezionali, con effetti non molto differenti da quelli della gestione commissariale che Silvio Berlusconi e Guido Bertolaso avevano affidato a Marcello Fiori, quando in due anni vennero dilapidati 80 milioni di euro: poco per i restauri e tanto sperpero di denaro tra stipendi da record, consulenze, bottiglie di vino e operazioni di marketing.
E non andiamo meglio col governo del Fare, che ha sorprendentemente dato poca pubblicità allo stato dell’arte del GPP al 31 dicembre 2014. Eppure, recitano i dati, “dei 105 milioni a disposizione (finanziamenti dell’Unione Europea e dello Stato italiano) 96 sono stati già «destinati e collocati». Le spese in corso sono per ora: cantieri attivi per 22 milioni e gare d’appalto già aggiudicate per 17, oltre a gare in corso per 35. Ci sono poi gare assai prossime, ma non ancora bandite, per 14 milioni e progetti che saranno pronti a breve e dovranno andare a gara per altri 17. Calcolando il complesso di questa attività, a vari stadi di avanzamento, e contando i 2 milioni dei cantieri già conclusi e consegnati, il totale è di 96 milioni”. Eppure Pompei continua a crollare. Eppure la Casa di Severus rientrerebbe tra gli interventi già cantierati. Eppure i maliziosi continuano a sospettare che ci sia un perverso interesse nell’abbandono e nella trascuratezza, in attesa di un “privato della provvidenza”. Eppure il Ministro Franceschini si è detto ottimista, vantando come una vittoria il “ ridimensionamento” dell’ l’obbligo tassativo di spendere tutti i 105 milioni del Grande Progetto Pompei entro il 31 dicembre 2015, come imposto dalla Commissione, che come d’abitudine tratta i nostri soldi come venissero dal suo salvadanaio. E che “generosamente” concede uno sconto e una proroga come premio di fedeltà al governo Pig più assoggettato e più inadeguato, che si indigna a intermittenza per gli scempi compiuti lontano dal sacro suolo, dando dei barbari ai distruttori delle antichissime mura assire di Ninive, mentre si vede che anche loro si addicono le rovine.