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La fine è nell'inizio. Haneke da apologeta beffardo di un verbo cinematografico estremamente personale ci racconta tutto con la prima sequenza che fende lo schermo quasi come una rasoiata alla carotide dello spettatore.
E allora cominciano le domande: quanto è grande questo Amour? Che cosa può portare a fare? Perchè il sublime anatomopatologo di conflittualità e pulsioni umane ha fatto un film su un sentimento che brilla per assenza nella sua carriera cinematografica?
Haneke non ha mai parlato d'amore nei suoi film, al massimo ha parlato di una deformazione patologica di quel sentimento ed è anche per questo che Amour si presenta come un film di rottura nella carriera del settantenne regista austriaco. E non può essere spiegato con il sospetto che ci sia un avvicinamento empatico di Haneke ai suoi personaggi, lui che si appresta a vivere la parte autunnale della sua vita.
Per lui è sempre inverno e non sto parlando solo della trilogia della glaciazione: la sua cinepresa è sempre stata solo uno strumento di fredda testimonianza di dinamiche (dis) umane filtrate attraverso una lente grottesca.
In Amour questa lente deformante è messa da parte: forse per la prima volta si avverte la passione che freme nel racconto, lo struggimento per un sentimento diventato asimmetrico per fattori esterni, si avverte quasi coinvolgimento da parte del regista austriaco. E chi conosce la sua carriera sa che sto parlando di cose grosse, grossissime per lui.
Il suo stile asettico con pochissimi movimenti di macchina e un utilizzo perseverato del piano sequenza si dimostra come non mai adatto alla descrizione del piccolo smottamento che giorno per giorno coinvolge la vita di Anne e Georges, un qualcosa che da piccolo e insignificante si trasforma in valanga che travolge tutto e tutti.
Ed in questo è aiutato da un 'ambientazione particolarmente riuscita( perchè la casa mausoleo dei due coniugi diventa una prigione da cui non si può fuggire, o forse sì) e dalla superba prova di due grandissimi "vecchi" del cinema francese, Jean Louis Trintignant ( classe 1930) ed Emmanuelle Riva ( classe 1927 ) che recitano volutamente sotto le righe quasi a voler sottolineare l'inarrestabile progressione drammaturgica del film in cui il nocchiero Haneke conduce lo spettatore a scendere tutti i gradini che portano verso l'abisso.
E allora torna prepotentemente in auge la domanda iniziale: fino a che punto può arrivare l'amore?
Oltre a questo la prima cosa che vien da pensare è che Amour è il titolo più feroce e sarcastico che potesse essere dato a questo film.
Haneke non si smentisce mai ma stavolta con una forma apparentemente più "normalizzata" fa incetta di premi in tutto il mondo.
( VOTO : 8 / 10 )
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