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Di fronte al mistero della morte sarebbe bello che tutti fossero più attenti a non esprimersi in esagerate lodi allo scomparso di turno, come pure in critiche troppo severe, rispettando il dolore dei congiunti, ma è inevitabile che queste elementari norme del vivere civile passino in secondo piano quando a morire è una celebrità internazionale, come è Amy Winehouse, la cantante e compositrice inglese scomparsa proprio ieri.
Una morte tra le più annunciate quella della Winehouse, reduce dal triste fallimento sul palco di Belgrado, dove si era presentata in condizioni talmente penose da suscitare più che la rabbia del pubblico pagante una dilagante ilarità, tanto la scena proposta era stata comica.
La cantante inglese era in evidente declino da tempo, ma la sua improvvisa morte, come sempre aviene in questi casi, ha riacceso l'interesse per lei e la sua, poca, produzione artistica, sulla quale però si è immediatamente messo il marchio del capolavoro artistico.
Fioriscono sui giornali e in rete le biografie agiografiche che ne descrivono il talento purissimo e la voce senza pari, senza contare i deliri di qualche intellettuale perso dietro i "fleurs du mal" dai tempi del liceo, che ne loda la morte così coerente allo stile di vita adottato.
Per la verità c'è qualcuno che, senza peraltro esagerare in cattiveria, sottolinea che in fondo le canzoni della Winehouse non hanno nulla di originale e sono nient'altro che la riproposizione di uno stile e di sonorità di cinquanta anni or sono, trattate con i mezzi elettronici moderni (mezzi che hanno pure aiutato a far diventare la voce della Winehouse così "importante" e basta aver sentito qualche sua esibizione dal vivo per rendersene conto.
Il meccanismo, un po' furbetto, della casa discografica è abbastanza simile a quello usato da tanti altri e tante altre volte: mettere in circolazione una musica già in qualche modo ben conosciuta, facile da intendere e da ricordare e in più creare l'illusione, specialmente sui ragazzi più giovani, che il suo ascolto serve a considerarsi un gradino, ma anche due, culturalmente al di sopra degli altri ascoltatori, quelli che preferiscono magari cantanti più tradizionali, se non proprio le star più commerciali della canzone internazionale.
Fu così che con il minimo sforzo e due dischi di grande successo Amy Winehouse è diventata ricca e famosa per aver fatto "rinascere" il soul. L'ultimo era uscito ormai cinque anni fa e francamente non si poteva pensare a cosa avrebbe potuto fare ancora di più l'autrice se non registrarne uno uguale, dal momento che le ispirazioni musicali quelle erano.
Inutile neanche dire che la morte della cantante ha immediatamente riportato i suoi dischi in vetta alle classifiche di vendita e nemmeno si può escludere che esca un terzo disco postumo, magari ricavato dagli scarti di vecchie registrazioni, come avvenuto per altri divi della canzone scomparsi.
Ma bisogna che accettiamo pazientemente l'ondata emotiva che ci sommergerà in questi giorni e tollerare i paragoni tra la Winehouse e i più grandi musicisti di ogni tempo, specialmente da parte di chi non ha la minima idea di cosa stia parlando, non conoscendo magari neanche le basi elementari della musica e del canto.
Perché la cosa più triste è proprio questa: che quella che fu la patria del bel canto è ormai un paese di analfabeti musicali.
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