Ringrazio Giorgio Linguaglossa per avermi permesso di pubblicare altre parti del suo Paradiso, cui accosto una tavola di Galeazzo Viganò, grande dipintore in Padova, per le sottili correnti che legano questa poesia e quella pittura.
Di Paradiso ho già detto qualcosa nel mio precedente post che lo riguarda. Vorrei però aggiungere qualcosa sul “valore” che il tempo rappresenta nella sua poesia. Intendo valore proprio in senso matematico e precisamente la nozione di “valore assoluto”. In termini matematici, rappresentando numeri reali su una retta reale, il loro valore assoluto è la distanza dallo zero. Ancora in termini matematici, il concetto di distanza è generalizzato come “il più breve percorso tra due punti di uno spazio curvo”. Ma non si dà distanza – cioè spazio – senza tempo.
Newton, nei suoi Principia, afferma che: «il tempo assoluto vero e matematico, in sé e per sua natura, fluisce uniformemente senza relazione a qualcosa di esterno, e con un altro nome si chiama durata; il tempo relativo, apparente e comune, è la misura sensibile ed esterna [...] della durata attraverso il mezzo del movimento, ed esso è comunemente usato al posto del tempo vero; esso è l’ora, il giorno, il mese, l’anno». E ancora: «Lo spazio assoluto, per sua natura privo di relazione a qualcosa di esterno, rimane sempre simile a se stesso ed immobile [...]» .
Il tempo, in Linguaglossa, è tanto quel “più breve percorso tra due punti di uno spazio curvo”, che il tempo e lo spazio assoluto di cui parla Newton. Perché? Perché quel tempo e quello spazio in cui si muovono senza ostacoli le anime che popolano il suo Paradiso, coesistono in uno spazio-tempo curvo e assoluto, “privi di relazione a qualcosa di esterno”, sempre simili a se stessi e immobili in un sistema chiuso e circolare, che mischia e mestica in un continuum passato presente e futuro.
Francesca Diano
(C) 2013
Giorgio Linguaglossa è nato ad Istanbul nel 1949 ma vive a Roma. Ha pubblicato tre raccolte di poesia ed è critico militante. Opere di poesia: “Uccelli” (Scettro del Re, 1992) e “Paradiso” (Edizioni Libreria Croce, 2000), “La Belligeranza del Tramonto” (LietoColle, 2006). Presente in alcune antologie, ha tradotto poeti dall’inglese, dal francese e dal tedesco; ha inoltre tradotto, in collaborazione, alcune poesie di C. Milosz. Nel 1993 ha fondato il quadrimestrale letterario Poiesis fino al 2005. Da “Paradiso”:
Galeazzo Viganò – Estro sopra Simon Mago. 2009
PRIMA NAVIGAZIONE
I
Affidarsi a più solida barca, traghettare,
l’inconfutabile Eutimia offrire agli stolti,
un vento divino ci condurrà.
«Dimmi Caronte, è grave disaccortezza
negare all’ospite l’ingresso? La verità
è nella polvere della superficie
o nelle profondità del Tempo?»[…]
[…]Gabriele è l’arcangelo del tempo,
fulgido nel suo panneggio celeste.
L’alito non scuote il drappeggio sottile.
Tutto lì è chiaro e trasparente,
nessuna oscurità, nessun contrasto,
nessuna piega o increspatura,
nessuna motilità senza nervatura
o screzio incide la chiarità d’albume.
La quiete non è scissa, il moto non è scosso.
Il vento della Storia che un tempo
Ha soffiato, ora si è raggelato
E, sullo stipite, compare un angelo
Malinconico che indica un corridoio.
Coro:
«il fuoco vige nella dimora delle pure forme.
È fiamma algida, sostanza in tattile.
Lingueggia dietro il sipario, tende verso l’alto,
lampeggia verso l’incorporeità
fra tutti i corpi il più sottile e brilla
e splende quasi fosse un’idea.
L’occhio si dissolve nel sole, l’iride
Brilla di luce propria come la stella
Meridiana e la Bellezza accende la nostalgia
Verso l’empireo, la patria d’origine,
ove una serena follia fiammeggia.»
È come aver dimenticato qualcosa
In fondo alla propria infanzia che arretra
Quasi un filo la riconduca al mondo
Portando un gusto da allegare i denti.
Un angelo dalle ali di fuoco
Indica il mio volto disperso nella tenebra.
«Sono proprio io l’eletto
e tu sei l’angelo dell’annunciazione?»
Un canto di baritono nell’aria e le note di un fagotto.
«Sono io il pictor e tu porti la buona novella?»
Che il fiammeggiante azzurro resti
Nel mosaico d’oro impresso ad encausto nell’abside.
Le farfalle ritornano ai fiori
gli uccelli cantano agli alberi
il vento piega la docile erba,
e noi di nuovo unti piangiamo.
Un suono di violini sulle acque dell’oceano
E una donna nuda vi s’immerge.
Un coro argentino di arcangeli e la nebbia
Inghiottono il mondo.
«Compilo per l’imperatore Basilio
con destrezza questo sontuoso salterio.
Interlineo con abilità le preghiere ai canti,
ai colori, alle chimere.
Perseguo l’unità dello stile ingombro
di mosaici e di maniere, adulto Lucifero
nel chiostro compio il trionfo dell’ortodossia,
perché restino le colonne trionfali di Costantinopoli.»
II
Il moto della storia è la ruota
il cerchio che eternamente dura.
L’alto fattore intende la mota,
il sole, le stelle che internamente abiura.
Mia madre danza tra gli ulivi.
Un bambino gobbo la scruta, ha il labbro
leporino. Nell’oscuro fogliame
un uccello di fuoco prende il volo.
Mia madre è nuda e parla.
Ora è nel paradiso ove scorre il quieto fiume
dell’oltretomba. Parla agli uccelli, il suo corpo
solleva l’oscurità……….
Scorre un fotogramma, un demone
scarlatto spia nel futuro: un signore
del ventesimo secolo guarda il vuoto.
È ancora giovane. Nei suoi occhi
corre una casa immersa tra gli aranci,
un grande albero di fichi, un bambino
nudo e una fettuccia di mare limpido.
L’uomo cammina col bambino.
Una ringhiera di ghisa e il mare.
Due mele di sonno ha il secolo sovrano.[…]
UN ANGELO RIVELA
La sfericità è l’essenza dell’universo.
La verità di una sfera non coincide
con la verità della sfera sottostante
né con quella che immediatamente la circoscrive.
Ovvero, la soprastante sfericità
Racchiude e annulla la verità delle sfere
Inferiori, sigillate nella quiete
del loro silenzio. La numericità
delle sfere armillari del mostro
dell’universo impallidisce nel riflesso
cangiante dell’immagine musiva.
Nella disputa tra i mathematikoi
E gli akousmatikoi scelgo questi ultimi
Perché nell’orizzonte del mondo forse
Non esiste né deve esistere l’armonia.
ASRAELE
[…]III
La soprastante felicità di Asraele
parla senza parole. Il suo corpo
ignudo dalle ali spiegate mostra
eburnea chiarità. La sfericità
della Storia conosce la morte e il
sangue. – Vola Asraele! attimo fermati
non sei bello quanto impossibile.
Fra gli angeli il più superbo,
candido di giovinezza e melancholia
il vento non scuote le sue ali.
Le nottole del tramonto sul
Pallore del suo volto volteggiano.
ASRAELE PARLA
V’è un demone astuto e ingannatore
che discetta sul computo del cosmo,
sul motore universale. La ruggine,
regina del metallo, rode ogni certezza,
devasta la materia il dubbio, principio
del Male. Ma voi sapete approfittare
di ogni incompletezza come cosa manifesta,
per luce naturale. Allora, rompere
gli indugi, spezzare l’incertezza,
l’indecisione. Nemici dell’irresolutezza
sappiamo che la malaria è l’ordine
del cosmo.
La casa che vedi salda sulle quattro colonne crollerà.
Sbrigati, è un passaggio obbligato la via della realtà.
*
La verità è nella polvere della superficie.
Avere la forma trilobate del giglio,
l’arco acuto della lince, lo stilobate
d’un tempio dorico, la lussuria della lonza.
Possedere la spina dorsale del rettile
e la bifide lingua della vipera,
vestirsi del piumaggio dell’aquila,
avere l’occhio sincipitale della lucertola.
Dare il colpo di coda.
Forse in un’altra vita foste uccelli.
SHEMCHELE PARLA
III
Già il gallo insidia la notte
e la risacca trascina le pallide meduse.
Ora ha inizio la seconda navigazione.
Poiché nel mondo non v’è rivelazione
Dovrete cercare altrove la disperazione:
armonia dell’arco e della lira
la sostanza non è aberrazione.
Perché in te è il sigillo del mondo
Tu non credi agli dei della città.
IL POETA BIANCO
Nel mio giardino il giallo limone risplende
e tra le araucarie e le acacie il gallo cedrone
ridacchia con la sua cresta d’oro.
Nel recinto, all’ombra d’una quercia,
depongo la mia eternità.
Siamo in prossimità del mare che verdeggia.
Il pappagallo sull’asse, la cornacchia
Che prende alto il volo, la zattera dei lèmuri.
L’universo, il rovescio della giacca di dio,
mi è indifferente.
Forse tra le poltrone dell’aldilà anch’egli
si cruccia dell’universale.
L’universo si ritrae nel giardino,
il giardino nell’albero di limone.
E il mattino contemplo il frutto oscillare,
risplendere in accordo con la Ruota.
IL POETA AZZURRO
Io porto con me l’oscurità del bosco
dove il pazzo corre all’ombra della luna
io porto con me un presagio fosco
d’allodole.
Ho salutato dal treno in corsa mia madre
Correva l’alce leggera sull’algida luna
s’impigliavano le corna
il boscaiolo e il Faraone dissipava la clessidra
Correva il re pazzo all’ombra dei pensieri
Sollevava un nero vento l’oscurità
“Perdonate i miei corvi neri – dice la strega –
essi non hanno colpe, sono malvagi
ed hanno freddo”
Venivano a stuolo gli angeli gobbi
infreddoliti e un nero diavolo li scherniva
Il calzolaio parlava alla luna, il re pazzo
correva nel bosco e la strega biascicava
parole vane: il delirio dei corvi neri
ed io salutavo mia madre addormentata
partita all’alba con gli uccelli nel bosco
Io porto con me l’azzurra oscurità
corvi neri e il delirio del girasole
QUESTA FALSA BISANZIO
Questa falsa Bisanzio incimurrita
inghirlandata dai trofei delle cupole
della cattolicità, dai parlamenti
d’un potere eterno, spettrale, è la mia città,
il mio luogo devastato, il teatro
della mia marionetta, il mio necrologio,
il mio orologio, la mia cecità.
Questa carta toponomastica che porto
nel taschino della giacca – tu lo sai –
mi servirà nel caso che perda la memoria
o la coscienza, magari trovandomi nel porto,
nell’orto, o in un bordello notturno
con nient’altro addosso che il portafogli
e un amuleto per il computo del tempo.
Tu lo sai che finirà così. A raschiare la morchia
Prima o poi mi servirà un indizio, una traccia,
rammentare la giacca, la pergamena,
la torcia tascabile.
Di tutto ciò
resterà il fumo che il vento divora.
MIO PADRE
Ora che guardo la tua foto sul comò
accanto all’orologio di ottone, penso
che se tu fossi rimasto immobile
nel tempo, saldo sulle gambe, netto
il profilo, avrebbe varcato la negazione
che ci divide (una scucitura nient’altro).
Ora tutto mi appare come una marcia
inarrestabile verso la meta scandita
dall’orologio, dal comò, dal televisore.
Senza tono, senza aura.
Rigido. Nello spazio gelatinoso
della fotografia ti ho osservato
attraverso lo specchio. Oltre la mia
immagine tu eri sutura, coordinate
capovolte, sfere scoperchiate,
il fumo della sigaretta raggelato,
sgualcito, ancorato nella cornice
come tra le sbarre.
Ora che sono saggio, se la bronzea
legalità fosse un diaframma,
saltando come salta un pianeta
da un’orbita all’altra, entrerei
nello specchio per dirti:
«Sono anch’io un’immagine sottile,
fluttuante. Ora siamo amici finalmente».
I testi e gli estratti riportati sono tratti da: Giorgio Linguaglossa. Paradiso Roma, Edizioni Libreria Croce, 2000