Ancora sulla Fìzica

Creato il 31 maggio 2013 da Enricobo2


Per rispondere all'interessa mostrato da alcuni, sul post Bati la fisica, oggi mi tocca questo ris-post (come li definisce l'amico Dottor Divago). Grazie al paziente lavoro di Franco Castelli, sono riuscito ad avere il testo completo della poesia di Rapetti sull'argomento e ve la ripropongo tal quale, con traduzione verso per verso dello stesso Castelli, in quanto il dialetto di Villa del Foro (l'antica Forum Fulvii) è particolarmente ostico e duro da comprendere, pur nascendo a pochi chilometri da Alessandria. Qui si capisce bene come l'espressione Battere la fisica, coinvolgeva tutti i fatti misteriosi di cui erano capaci streghe e maghi. Un pericolo pauroso in cui erano coinvolte e capaci di svolgere, solo le persone che avevano studiato nei libri "grossi" ed in particolare i preti, che il volgo contadino di ogni parte d'Italia ha sempre visto con la diffidenza e la poca stima a prescindere, un po' come oggi la gente pensa ai politici. Questi personaggi sono sempre stati visti come capaci, grazie alla loro supposta cultura, di approfittare delle donne del paese quando i mariti sono lontano e di ingannare la gente a loro vantaggio, utilizzando le peculiarità del loro ministero. In fondo questa storia delle mogli e figlie che si vanno a confessare, non è mai andata giù e l'identificazione del grasso curato furbacchione, severo con i poveracci ed ossequiente verso i potenti, tipologia incarnata dai vari Don Abbondio letterari, con il prestasoldi è di pratica comune. Ecco dunque questa meravigliosa Ra fizica, dove emerge la figura di Don Paulon, che immaginiamo grasso e rubizzo intento a suscitare malefici paurosi per poi risolverli con magici anatemi al fine di mantener un potere ed una autorità sui contadini della sua parrocchia che lo temono e devono tenerlo buono con offerte e devozioni.

Ra fizica.
Diz che don Paulon batijs ra fizicach' il divu 'r Bringiuten-ni, 'n gir sta mizicara cà tacà ra gìazia, fnèstri sutacor ratarauri rj' ombri sòrt na gnuta.Cucdein ch' l' à ra muruza t' al cunzivicullà che 'r va zì pschè dar pas 't capivima l' iss sarà, er fnèstri, cà e staladùai ùagg quacià 'ns u lìacc, na micia-gala!Capì ch' is favu vighi, 't spauentavu'nt er stali, da maznà, i vègg quintavufa dì na mesa ai mòrt, o du, sparisu'r prèvi l' à u libi, chil se 'r vùa parisu.'Nt ra fnèstra è don Paulon,'nt l' ombra, pisava'r vasìa alvà u spargein, l' òm gras, bifavava 'n cà scumpar ra streja, l' èl, l' èl nèintal' indman fan dì sta mesa e ra scarvèinta.Dìotu 'r "Puntarùa", su fiùa 'l diz, Mariuvist chil, avli sentì, 'r memòrii variud' amson, scariavu 'r cùav,' n cà ch’i mangiavu"Er fùa, curì, 'nt ra curt 'd Verzon !",crijavu.Sidlein an man, baston, cujcòz ch’ u ciamal' avghivu tur au scagn, tit lèingui 'd fiamasòrt don Paulon da 'n cà, fa 'n sign ant l' ariasparis er fùa, csé 't dizi, vat te 'n paria?Fan vighi 'n can, lìon, n' afè ch' aj smejaien avstì 'd bianc, long a ra strà, cèr mejarivè dèj na randlà diz ch’ u sparivas' l' è 'r prèvi pre 'n pò 'd tèimp pì nein l' avghiva.Pinètu, rèj an Bèrb, er pscava in ombramulava zì spariva, l' èua zgombratirava, turna andrèinta, dl' ombra vivada drìa l’ ava ra len-na ch’ al nuziva.Na nùacc, mni cà mèz ciuc, dau simitìari,atur quant balaren-ni, fausi o vìaritucà balè con lur, fin chi sparivul' indman truvà ‘n caudrein, o gèint, l' avghivu!In auter caratìa, bargìa cme chiliva zì 'nt cul fòss, ‘n bòt 'd nùacc, nein a squitilitucà scariè e cariè, e tira e bitacamp-sant pein 'd gèint nèint truvè ien ch' al jita.
La fisica.
Si dice che don Paulon battesse la fisicache lo dicevano le Bringiottine, in giro 'sta musicala casa vicino alla chiesa, finestre sottocoi pipistrelli e le ombre esce una ghigna.Qualcuno che ha la morosa lo conosceviquello che scende a pescare dal passo lo capivima l' uscio chiuso, le finestre, casa e stalladue occhi accovacciati sul letto, una gatta…..!Capito che si facevano vedere, ti spaventavanonelle stalle, da bambini, i vecchi lo raccontavanofai dire una messa ai morti, o due, sparisconoil prete ha il libro, lui se vuole appaiono.Nella finestra è don Paulon, nell' ombra, pisciavail vaso levato l' aspersorio, l' uomo grasso, sbuffavava in casa e scompare la strega, lo è o non lo èl' indomani fan dire una messa e la scaraventa.Dìotu il "Puntarùa", suo figlio lo dice, Mariuha visto lui, aveva sentito, le memorie varianod' estate, scaricavano i covoni, in casa che mangiavano"Il fuoco, correte nel cortile di Verzon !" gridavanoSecchiello in mano, bastone, qualcosa che servelo vedevano intorno allo sgabello, tutte lingue di fiammaesce don Paulon di casa, fa un segno nell' ariasparisce il fuoco, che ne dici vai in pari ?Fan vedere cani, leoni, un affare che gli somigliauno vestito di bianco lungo la strada, lumi nessunoarrivare a dargli una randellata dicono che sparivase è il prete per un po' di tempo più nessuno lo vedeva.Pinetu, reti in Belbo, pescava un’ ombramollava giù spariva, l' acqua sgombratirava, di nuovo dentro, dell' ombra vivadietro aveva la luna che lo ammaliava..Una notte, tornato a casa un po’ brillo, dal cimitero,intorno quante ballerine, false o veregli è toccato ballare con loro finchè sparivanol' indomani trovato un pentolino, o gente, lo vedevano !Un altro carrettiere, lattaio come luiva giù nel fosso una notte, nessuno a soccorrerlogli tocca scaricare e caricare, e tira e mettiil camposanto pieno di gente, nessuno che lo aiuti.


Par di sentire i racconti di streghe e di morti, la sera attorno alla lanterna delle veglie nelle stalle. Cose assolutamente sicure e provate, come quelle del pescatore Pinetu ammaliato dalla luna, che continua a gettare le reti nel Tanaro tirando su solo ombre o quel passare vicino al cimitero dove era stato costretto a ballare tutta la notte con ballerine fantasma fino  a quando queste non avevano deciso di andarsene o del carrettiere, certo piuttosto rotondo dopo la serata in osteria, finito nel fosso, che aveva continuato, novello Sisifo a caricare e scaricare tutta la notte, mentre a fianco, quel camposanto pieno di gente immobile a guardarlo senza aiutare. Su tutti giganteggia il timore reverenziale verso Don Paulon, che batteva la fisica suscitando, forse lui stesso fuochi tra i covoni per poi spegnerli con misteriosi segni nell'aria, facendo così pari. Preti di campagna capaci di far comparire animali strani e paurosi e bianche figure avvolte in lenzuoli bianchi che giravano tra le case di notte, magari a trovare le parrocchiane ingenue. Qualcuno, più sospettoso e pieno di malizia, come in fondo lo sono i contadini, vinta la paura, gli aveva dato una bastonata in testa e poi stranamente per qualche giorno il curato non si era più visto in giro. Un racconto così vivido e naif da fare innamorare. Che grande poeta Rapetti!


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