Magazine Cultura

Ancora sullo scopo della parola

Da Marcofre

(…) buttando giù i racconti quando lo spirito mi assisteva (…), per poi tornare a esaminarli con attenzione e freddezza in seguito (…)

 

Chi scrive così è Raymond Carver.

Mi chiedo spesso se questo modo di affrontare la scrittura debba essere messo da parte, o modificato, oppure… A mio parere, ci saranno nuovi modi di narrare e questo rappresenta senza dubbio una fortuna; ma alla fine la magia della scrittura sarà sempre la stessa.

Parole, storie, palla lunga e pedalare.

La grande novità non è nella possibilità di coinvolgere i lettori nella scrittura della propria opera, o meglio: non è la sola. È in questo: apparirà più evidente il valore della parola. Quando tutti scrivono, diventa quasi obbligatorio fermarsi a riflettere: a che pro? Se quindi c’è il talento, probabilmente questo potrebbe risaltare meglio. Non è più sufficiente dire “Ho pubblicato” oppure “Ho scritto”; queste sono cose che riescono a tutti, persino a me.

Il tempo, la pazienza e ancora la freddezza e l’attenzione: noto che il concetto di freddezza è comune sia in Cechov che in Carver, e l’americano ammirava il russo. Il “calore” delle parole ha uno scopo preciso: allontanare le persone dai loro simili. Produce una simpatia immediata che è come un fuoco di paglia: una grande luce, e poi niente. È questo lo scopo della parola?

Per me no. Il suo fine è unire e svelare, non nascondere e allontanare. Chi scrive di sentimenti senza la necessaria freddezza fa in modo che il lettore si affezioni a quelle parole, ma senza provare alcunché per l’essere umano. Basta osservare la pubblicità: è fatta di parole.

Uniscono? Al contrario: propongono persone non solo irraggiungibili (per fortuna dico io). Ma creano una frattura nell’organismo civile. E questo accade anche per l’uso di parole “calde” capaci di colpire l’attenzione, creare una simpatia immediata, magari (toglierei il magari, ma ce lo lascio) per indurre a un preciso comportamento. Comprare quella cosa, non per migliorarsi, ma per entrare a far parte del circo dell’omologazione.

Molta letteratura fa quello. Non avvicina affatto, bensì separa, coltiva con cura la mediocrità offrendo dell’essere umano una visione caricaturale. E con la separazione è più semplice dominare.

Poi c’è la letteratura di Carver. La sua particolarità è creare nel lettore una sorta di corto circuito. Perché i protagonisti non fanno nulla di straordinario e sembrano muoversi in uno scenario talmente vicino a noi, da risultare irritante. E lo è per l’uso che lo scrittore fa della lingua. Sobrio, puntuale.

Ci si irrita con le storie di Carver perché d’un tratto ci troviamo in una stanza con persone vere. Ritroviamo una vicinanza alla quale non siamo abituati affatto, proprio perché viviamo una realtà che ci separa dagli altri. Eppure è proprio allora che possiamo comprendere la stortura di cui la parola è stata vittima, e quale sia invece la sua autentica natura.

La conclusione di questo post? Non saprei. Il problema è che le persone adorano il fuoco di paglia. Il bla bla. Però non è un problema, o meglio non lo è affatto per chi comprende questo tipo di cose e agisce di conseguenza. In fondo, si possono anche vendere 100.000 copie, ma quelli che davvero capiscono quello che dici saranno 42.
È per loro che scrivi.


Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog