Tutto quel poco che so della vita lo so perché è sempre stato un incontro di pugilato piuttosto bilanciato tra me e lei, che mi ha lasciato sì moltissimi lividi, ma anche tanti insegnamenti: lei mi ha riempita di colpi, di calci, di pugni e di schiaffi, e io, col sangue alla bocca, ho sputato un dente sul pavimento e ho risposto. Per ventitrè anni ho avuto un ottimo allenatore, uno di quelli che ti passa la pezza bagnata quando sei seduto in un angolino e vorresti solo abbandonare la competizione, adesso sono l’allenatrice di me stessa, vorrei che mi allenassi tu ma dici che non vuoi, magari un giorno vorrai, tanto io sto qua, il corpo si muove e va in giro ma la mente è bella ferma e focalizzata su tutto quello che ci accomuna. Dopo ogni incontro buttavo giù le impressioni, e rileggendole tutte insieme eccolo lì, il circolo della merda, questo è il nome che ho sempre dato alla mia vita. Ma proprio perché è un circolo, se scegli un punto a caso e lo punti, ci sputi sopra, lo prendi tra le mani e lo modelli come creta come vorresti che fosse, lo migliori e passi a quello dopo, allora vedi che non ti fregano più, perché essendo un circolo ogni cosa seguirà la corrente, la merda puzza e quell’odore ti stordisce, ed è quello che ti lascia senza forze ad annaspare. E allora tappati il naso. E poi, una volta che lo hai atterrato, che l’arbitro ha detto che hai vinto, vai via. Andare via non è scappare, andare via è soprattutto combattere. Sono andata via io, sei andato via tu, è andato via pure lui. Non lo so perché è andato via perché non me lo ha detto, forse solo per voglia mentre per me era necessità, magari un giorno me lo dirà, quando capirà che cosa dico. O magari no, e per la vergogna dovrò andare via di nuovo.
Prima le mie giornate passavano senza che nemmeno me ne accorgessi, erano tutte uguali. Quando stavo a casa mia le passavo in un seminterrato di un metro per un metro senza wifi e col telefono che prendeva solo se ti spiaccicavi contro la porta-finestra come fossi un geco, accendevo la tv ma non la guardavo, leggevo i libri ma non li capivo, poi quasi ogni sera uscivo alle nove e andavo a Roma con il bus, mi incazzavo e tornavo alle quattro di mattina, e la mattina successiva mi svegliavo all’una perché non avevo un cazzo da fare, e così il giorno dopo, i giorni passavano e così le settimane, quattro settimane fanno un mese e tu ti chiedi come sia possibile che sia già tempo di toglierti i collant, sembra ieri che ci siamo ubriacati tutti insieme a Capodanno. Che poi io a casa mia ci stavo poco perché che è casa mia lo dice solo l’eredità, avevo uno zaino sempre pronto e l’attitudine da vagabonda, io quello che non sopporto non lo voglio vedere, lo voglio lontano da me. La mia città mi ha fatto male, ormai è un non-luogo dove ogni giorno c’è un pezzo di me che va in cancrena. Le persone sono più importanti dei luoghi, è vero, ma il male che ti fanno i luoghi le persone non lo possono curare nemmeno con litri di saliva, la ferita si infetta di nuovo quando a un certo punto in quel cazzo luogo ci devi rimettere piede, e le persone non possono sempre stare lì con te con l’acqua ossigenata a portata di mano. Andate via perché anche se la vita non è fatta solo di luoghi e anche se quelle persone solo il cielo sa quanto vi mancheranno, sono i luoghi a spaccarvi le ossa. Le persone si possono cambiare, i luoghi no, li cambi solo se te ne vai a fanculo. Non deve essere per forza un luogo dove non parlano la vostra stessa lingua, io a parlare la mia lingua ci torno presto, ma nel frattempo ho sorriso, mi sono ricordata che cosa vuol dire stare in un luogo dove le persone ti vogliono vedere al mattino, ho annusato, ho toccato, ho cercato la felicità perché non è che la può trovare solo Will Smith nel film di Muccino, andate alla sua ricerca fino a che non ne trovate almeno un piccolissimo pezzettino e poi appuntatevela tra i capelli e portatevela dietro. Io non sono più quella che ero, non lo sono più perché sono andata via? Decisamente sì. Le persone che fanno davvero parte della vostra vita perché vogliono farne parte rimarranno appiccicate alla vostra pelle ovunque voi andiate, perché, amici miei, voi siete tutti qui, però io sono insoddisfatta sempre, e adesso sto qui ma cerco la stabilità altrove, in un luogo che non è casa mia ma che è distante da voi la metà esatta dei chilometri rispetto a dove sono ora. Io tra quattro mesi torno lì, tu che fai? Vieni a fare il mio allenatore? C’è un monolocale sui navigli microscopico e bellissimo, tu porta i tuoi dischi che io porto i miei libri, e parliamo l’italiano che così brutto poi non è. Perché io nella mia città non ci torno più, non dovete pensare di non aver fatto abbastanza, è che se non abbatto quei cazzo di luoghi, per me non c’è posto.
E adesso, se mi chiedono se sto bene rispondo di no, se sono felice, rispondo ancora di no, non lo sono, ma sto sicuramente meglio di prima. E non me ne frega un cazzo di niente.
Magazine Diario personale
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