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Androni Giocattoli Venezuela. Storia di una squadra | Episodio 3

Creato il 30 dicembre 2014 da Emialzosuipedali @MiriamTerruzzi

L’ammiraglia è ferma a bordo strada. Una strada diritta, appena fuori dal paese. Nell’aria c’è il pulviscolo d’oro delle mattine invernali anche se il sole è tiepido, scalda quasi. Giovanni Ellena aspetta di incrociare i suoi ragazzi. Con la macchina, li segue su e giù per queste colline, si accoda lentamente al gruppetto, ogni tanto li supera e li lascia un po’ da soli per poi aspettarli nuovamente.

Due, tre, quattro auto poi i ragazzi, preceduti per caso da una pittoresca signora su un motorino tipo vecchio Ciao. Una specie di derny amatoriale molto improvvisato, una scena che neanche a farla apposta veniva così.

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Dopo il passaggio, di nuovo in ammiraglia, dove il silenzio costruisce il luogo. Due ruote di ricambio caricate in tutta fretta nel bagagliaio, una borraccia abbandonata, una penna, qualche foglio e un gel nel portaoggetti, il Tom Tom attaccato al vetro. Quel vetro che è il tramite tra il direttore sportivo e i suoi corridori. E’ vero, hanno inventato le radioline. Ma questo è un mestiere dove tante cose bisogna capirle senza parole, senza spiegazioni. Osservare. Ecco, questo che è un termine brutto e un po’ troppo da matematici, è tuttavia quello giusto. Giovanni Ellena lo sa bene, sa che in questo lavoro bisogna tenere d’occhio tutto, corpo e anima, perché parlano in silenzio tutti e due. E’ stato ciclista anche lui, è vero. Ma stare sull’ammiraglia è sempre un’altra cosa, bisogna uscire da una pelle ed entrare in un’altra, tenendo saldo il nocciolo. Che Giovanni ha l’occhio di uno che fa questo mestiere da tanto tempo e con passione, lo si capisce subito. Guardando il gruppo, dice che i nuovi arrivati hanno bisogno di mettersi a dieta e poi chiama al finestrino Alessio Taliani. Gli dice che lo vede un po’ ingrassato, tre, forse quattro chili di troppo. Sembra strano visto che Alessio è un figurino anche imbacuccato nella divisa invernale. Ma poi le analisi daranno ragione al suo occhio esperto. Tre chili in sovrappeso.
episodio 3 foto 2

Piccole cose che nel ciclismo sono essenziali. Come essenziale è l’umanità. I caratteri, le attitudini, le ribellioni, tutti diversi. Non sono uguali nemmeno le biciclette. E si prendono le misure anche con il metro invisibile della sensibilità.
I ragazzi sono spariti di nuovo e Giovanni prende il cellulare e chiama Sella: “Lele, dove siete?
Altre strade tra un paese e l’altro, piazzette in acciottolato, vigne nel sole. C’è questa montagna lontana che chiamano la Bella Dormiente anche se ci vuole un po’ di fantasia per riconoscerla davvero e poi la villa di Guido Gozzano, in mezzo al verde-oro dei campi. Mi ero persa, una volta, nell’atmosfera malinconica di un suo componimento che parlava di una signorina che abitava in una vecchia villa maledetta. Da sempre mi piacciono le storie che non si affievoliscono con il tempo, che restano impresse nella memoria e non se ne vanno mai. Ogni volta che le rievochi senti sempre la stessa sensazione.

Di storie, con l’Androni Giocattoli, Giovanni ne ha vissute tante. Forse troppe per ricordarsi quella più significativa. Mentre aspettiamo i ragazzi sulla strada sotto i Tre Ciochè, che in dialetto sono i tre campanili del Santuario della Madonna delle Grazie di Agliè, parla di Roberto Ferrari e della sua vittoria a Montecatini al Giro 2012. Roberto non è più in squadra con loro da due anni ma quel successo è rimasto speciale. Non tanto perché avesse tagliato la linea bianca per primo ma, come capita spesso in questo sport, per tutto quello che venne prima di quel giorno.
Lui e Giovanni si erano trovati a Cesenatico, durante uno dei primi ritiri stagionali, con tantissime promesse per la stagione successiva, quella del 2012, appunto. In realtà, il debutto al Tour de San Luis non fu eccezionale, la condizione era davvero lontana. Serviva la strategia giusta per l’avvicinamento al Giro d’Italia e, con la squadra, decisero di non fargli correre né il Laigueglia, né la Coppi e Bartali. Una cosa su tutti era importante: mettere la sua ruota davanti agli altri. Non importava di chi. Bisognava vincere per il morale, per la testa. Anche questo fa parte della ricerca della condizione, anche questo è un aspetto fondamentale di quell’equilibrio eterno che ci deve essere tra ciclista, strada e bicicletta.
Corre a Taiwan e vince una tappa poi via in Francia per vincere la Fleche Emeraude e la Route Adelie Vitrè. E’ così che si guadagna la convocazione per il Giro. Giovanni dice che per qualsiasi squadra italiana, l’appuntamento più importante per l’avvicinamento alla Corsa Rosa è il Giro del Trentino. Ma Roberto è un velocista e nell’edizione del Trentino di quell’anno non c’è neanche un arrivo in mezza pianura. Bisogna per forza studiare un altro piano. Giovanni propone di mandare Roberto in ritiro da solo. E quando ne parla a Gianni Savio, anche lui è d’accordo. Una prova di fiducia ad occhi chiusi. Giovanni lo sente tutti i giorni, crede nella sua umiltà e nella voglia di lavorare per raggiungere l’obiettivo.
Lui non dice quello che si sono detti durante quelle telefonate ma so quanto vuole bene a ognuno dei suoi ragazzi, che li conosca da una vita o da pochi mesi. Sono i suoi corridori. Questo basta. A rimproverarli o a spronarli. A dare la giusta libertà o a tirare un pochino le briglie. Quei minuti passati al telefono sono una parte di quella vittoria. Per qualcuno piccola, per altri meno. Giovanni ci tiene a questo ricordo, con una punta di sano orgoglio. “Bisogna sempre ricordare che dietro i test, dietro i numeri” dice, “ci sono uomini con le loro debolezze e i loro punti di forza. E di giorno in giorno quei numeri possono cambiare.

No, non è solo preparazione atletica questa. C’è molto di più, un dietro le quinte che si compone di tante piccole tessere e che in gruppo si compatta, diventa la squadra. Dietro c’è questo mondo fatto di lavoro silenzioso, a stretto contatto con questi sogni che sono difficili, come difficile è il ciclismo. Sogni conditi di sacrifici che si possono capire solo vivendoli, vivendoci accanto. E per maneggiarli servono sempre mani ferme e delicate.

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I ragazzi sbucano dalla curva in mezzo alla strada, passano e poi, di nuovo, l’ammiraglia li segue. Simone Stortoni e Davide Appollonio pedalano in coppia. Giovanni dice che crede molto nel loro riscatto. Simone ha avuto una stagione un po’ così ma lui sostiene che è un gran corridore e può dare tanto. Conta sull’effetto sorpresa. Perché, alla fine, è facile scommettere sui nomi che sono sulla bocca di tutti. La vera abilità sta nel riconoscere in un guizzo, in una pedalata, in un gesto in corsa, un talento in ombra. Tirarlo fuori, riportarlo alla luce è una questione di coraggio. D’altronde, la fiducia è sempre stata una cosa da coraggiosi, nel ciclismo poi ancora di più perché è uno sport dove il tempo non perdona.

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