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Quei giorni immobili d’autunno proprio non li poteva dimenticare, stretta in un banco di scuola, sussidiario e libro di lettura macchiati di biro, quaderni stropicciati e lei, incapace di mantenere l’ordine minimo richiesto e per di più, immune al pentimento.
Quelli furono i giorni in cui Anna conobbe la fatale seduzione del silenzio e del pianto sottile, da utilizzare con chiunque per ottenere qualcosa, in primo luogo attenzione.
Libri e merenda nella cartella rigida, pesante, piena di disegni nella falda interna: cuoricini.
Anna è come assente e guarda fuori il cielo dalla finestra, sembra piombo, e sente il pranzo, imboccato in fretta dalla tata, pesante.
Conta i gradini che la porteranno alla porta e poi all’automobile del padre, e pensa a come potrebbero diventare la sua salvezza: una caduta per esempio sarebbe perfetta pensava.
Ma i lacci delle sue scarpe nuove di vernice non sono lenti, la Tata ha fatto anche il doppio nodo. Le fanno male.
Così come le dà noia l’elastico di quegli odiosi calzettoni di cotone, quelli bianchi traforati, quelli che al primo lavaggio diventavano stretti e al decimo lentissimi e cadono di continuo fino alle caviglie.
Anche il colletto rigido le serra il collo lungo e sottile e per di più una tasca del grembiule è scucita.
Infastidita dal cappello che calzato fin giù le fa andare in fumo la testa, inabile e fasciata come un piccolo imperatore, Anna pensa che preferirebbe morire.
Sente già l’odore della scuola. E si domanda se anche oggi qualcuno, in classe vomiterà il pranzo.
Il pensiero di poter essere lei stessa a vedere le facce disgustate dei compagni le fa venire le lacrime agli occhi.
Il cielo è veramente scuro, il vento agita anche le pozzanghere.
Ma esegue l’ordine e saltella -anche se proprio non vorrebbe- dietro la sorella, come trascinata da un corpo che ha vita propria, in perenne movimento, e da un destino ineluttabile.
Rosa, la perfetta scolara, ordinata, puntuale, cammina facendo ordine in testa, ma non fra i capelli, come ogni giorno impegnata in qualcosa, mai pensieri per aria.
Nel frattempo Anna decide di mettere a frutto la devozione, quel poco che ne sa, e pensa, e rivolge una preghiera a Gesù e ai santi celesti, gli stessi che guarda dal letto, sulla parete di fronte abitare in un fascio di luce, inoffensivi e immobili. Gli stessi di cui la nonna le racconta la domenica all’imbrunire, mentre si torna tutti assieme dalla messa, dopo che le ha passato un succosa giuggiola al limone o all’arancia.
In auto, Anna si è tolta la cartella e non ascolta più le parole di Pasqua, la tata, che ancora la saluta dal fondo delle scale, con la sua splendida voce da soprano –che ogni giorno esercitava in cucina – e ribelle conta le figurine, una delle tante collezioni mai finite.
Anche in questo Rosa era più brava di lei e i suoi album perfettamente in ordine, così nuovi che sembravo finti, ancora profumati di carta, di colla, e che a guardarli Anna si entusiasmava, convita di poterla imitare.
Anche adesso è distratta, mentre guarda il cielo lontano ma anche oltre, mentre sente la macchina partire, e ripete a memoria i nomi delle strade, il colore dei semafori, e conta le traverse che la separano dall’odiato plesso elementare.
E quell’infantile disperazione svanisce per un istante, oscurata dalla vista incantevole di un vigile su piedistallo, un uomo che muove il mondo alzando un braccio e fischiando feroce.
È l’ultima svolta sinistra che la rapisce di nuovo nell’incubo: adesso è davanti alla scuola.
Ma c’è tempo, e la speranza di nuovo si accende quando rammenta che è Rosa che scende per prima: và nel plesso scolastico superiore.
Anna sa che per pochi metri resterà finalmente sola con suo padre.
Ed è proprio allora che capirà il potere dei suoi “ti prego”, ma più ancora di quel silenzio ostinato, di quel farsi muta così eloquente.
(Questo è un brano tratto da una storia non ancora finita,un noir che parla di due sorelle della rivalità e del loro amore).
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