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Anonymous - Recensione

Da Dalailaps @dalailaps
Anonymous - RecensioneTrama
Conoscete Shakespeare? Bene.
Sapete che sono in tanti a credere che quell’uomo, quello la cui immagine ci viene riportata in tutte le salse, in realtà fosse solo un prestanome? Riguardo a questo tema ne ha scritto anche Jennifer Carrel in W.
Se non ne avevate idea e siete interessati, questa pellicola fa a caso vostro.
Il dibattito è aperto da più di un secolo e sono molti gli studiosi internazionali - tra cui anche Mark Twain e Freud - che cercano di dare una risposta possibile e soddisfacente: alcuni credono che sotto quel cognome si celi un gruppo di scrittori dell’epoca; altri sostengono che il vero autore non fosse altro che un nobile dell’epoca, di alto rango per giunta, che per non rovinare la sua reputazione con sonetti talvolti disdicevoci ha trovato decisamente più opportuno affidare le sue opere a qualcun altro - che andò poi a prendersi ogni gloria - pur di veder rappresentato quanto scriveva.
L’uomo che conosciamo come Shakespeare, quindi, non sarebbe altro che un attore fannullone, poco più che analfabeta - si crede che sapesse solo quanto strettamente necessario a memorizzare le battute - e i cui pensieri erano per lo più di carattere sessuale (e nel film essi appaiono decisamente comici).
Il film narra dunque la storia di Edward De Vere, 17° conte di Oxford, presunto autore di tutti quei testi meravigliosi.
Sarà attraverso il suo rapporto con il drammaturgo Benjamin Jonson, con quello d’amore con la Regina Elisabeth I e con quello di odio - neanche tanto sottile - con il suo consigliere di turno, che la storia andrà abilmente a svilupparsi.
Attraverso vari flashback veniamo immersi in una ricostruzione decisamente scrupolosa dell’Inghilterra elisabettiana quasi al suo tramonto, in particolare nella questione della successione al trono e degli eventi che hanno portato all’incoronazione di James di Scozia.
Ad aprire e chiudere il film sarà Derek Jacobi che da solo, al centro di un palcoscenico di Manhattan, introdurrà e concluderà magistralmente la narrazione proprio come veniva negli spettacoli messi in scena nei teatri elisabettiani.
Regia
Ho conosciuto Emmerich con Indipendance day e The day after tomorrow, e posso dirvi che mi ha decisamente colpita come sia riuscito a passare con tale forza e impatto ad un dramma in costume.
Tra le riprese che ho più apprezzato ci sono quelle alla platea ad ogni prima rappresentazione: è bello osservare il volto del popolo, cogliere assieme i palesi rimandi storici di ogni opera, individuare con gli stessi occhi a chi fosse ispirato questo o quel personaggio.
Certo, Emmerich non ha creato qualcosa di totalmente nuovo e mi auguro che non pretenda nemmeno che il suo film venga preso come assoluta verità, ma ha fatto buone scelte stilistiche e ho trovato il suo occhio decisamente originale.
Sceneggiatura
È affascinante come, con numerose citazioni e parecchie libertà storiche (tra cui la relazione sentimentale tra il conte ed Elizabeth), John Orloff sia riuscito a rendere l’intreccio così avvincente e intenso.
A distanza di qualche ora, certi punti avrebbero potuto essere rappresentati più chiaramente, ma forse, paradossalmente, è anche questo uno dei motivi per cui il film rimane così carico e potente.
Probabilmente se non si ha una vaga idea della storia inglese di quegli anni si potrà avere qualche problema a seguire bene le note politiche e sociali della trama, ma credo che certi sottili rimandi siano apprezzabili a prescindere.
Giudizio
La storia è suggestiva, affascinante. Questo credo di averlo già chiarito. Ma ciò che mi ha fatto apprezzare particolarmente questa storia sono state le molteplici occasioni in cui viene reso tangibile l’importanza delle parole e dei dialoghi.
C’è tecnica, voluta ovviamente, di cui ammiro il risultato a bocca aperta.
Le parole sono forti, affilate e sottili. È lo stesso protagonista a ripeterlo più volte, puntando su di esse nei momenti più oscuri, o per mettersi in contatto con la sua regina perchè gli è praticamente impedito di incontrarla, come anche sul letto di morte durante l’ultima conversazione con Benjamin Jonson.
È
quella che ho amato di più: sono poche le parole che si scambiano, ma sono potenti e incantevoli. Tanto quanto lo sono tutte quelle meravigliose opere che ogni giorno riempiono teatri, librerie e soprattutto menti. Chiunque ne sia l’autore.

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