Pubblicato da giuseppepanella su marzo 26, 2012
Scrittura e ricerca letteraria in Antonio Tabucchi
«L’inazione consola di ogni cosa. Non agire ci dà tutto. Immaginare è tutto, purché non tenda all’azione. Nessuno può essere re del mondo se non in sogno. E ognuno di noi, se si conosce veramente, vuole essere re del mondo. Non essere e pensare è il trono. Non volere e desiderare è la corona. Avremo ciò a cui rinunciamo perché, sognando, lo conserviamo intatto»
(Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares)
Volevo molto bene ad Antonio Tabucchi al di là della stima che provavo per lui come romanziere e come studioso di letteratura portoghese e mi dispiace non averlo potuto dire prima che si imbarcasse per il suo ultimo viaggio verso Lisbona e la terra lusitana. Ma i suoi ultimi libri (a partire da Gli zingari e il Rinascimento del 1999 uscito per Feltrinelli fino agli ultimi racconti mescolati ad immagini di Racconti con figure pubblicati da Sellerio nel 2011) mi erano piaciuti meno dei suoi primi, straordinari romanzi degli anni Settanta e Ottanta.
Non mi era sembrato opportuno dirglielo (e poi a che cosa sarebbe servito ?) e avevo da tempo smesso di sentirmi con lui anche epistolarmente, dopo un periodo di intensa frequentazione culturale, di costante lettura e recensione delle sue opere e di contatti personali.. D’altronde, il suo pensionamento precoce dall’Università lo aveva fatto trasferire quasi in permanenza nell’amatissima Lisbona e a Firenze (come pure a Vecchiano dove preferiva andare) Tabucchi veniva sempre di meno, forse per disaffezione, forse per il maggior radicamento suo e della moglie nella città capitale del Portogallo. Ma queste sono, ovviamente, questioni del tutto secondarie.
La sua repentina scomparsa può essere però l’occasione per una prima, parziale riflessione sulla sua opera letteraria e sulla sua attività di studioso.
Il primo libro firmato da Tabucchi era stato un’antologia del Surrealismo portoghese, iniziata sotto il nome tutelare dell’amatissimo Fernando Pessoa, che fece conoscere in Italia alcuni testi di poeti portoghesi (come quello di Carlos Drummond de Andrade) altrimenti sconosciuti e destinati a una circolazione circoscritta unicamente al loro paese (La parola interdetta. Poeti surrealisti portoghesi, Torino, Einaudi, 1971). Il volume era il risultato della tesi di laurea dello studioso pisano. Lo stesso argomento del libro, infatti, era stato discusso nel 1969, sempre a Pisa, alla Facoltà di Lettere, con Luciana Stegagno Picchio, lusitanista di vaglia in un panorama culturale che sembrava poco aperta agli stimoli e alle prospettive letterarie che venivano da un paese apparentemente emarginato come il Portogallo e con Silvio Guarnirei, che all’epoca insegnava Storia della letteratura italiana contemporanea e che apparteneva all’ala progressista dell’Ateneo. Essa permise a Tabucchi l’accesso a una borsa di studio di perfezionamento presso la Scuola Normale Superiore di Pisa per la cui tesi, tuttavia, egli scelse argomenti più legati alla tradizione letteraria maggiore del Portogallo come I Lusiadi di Luis de Camões (una traccia di questo lavoro compare in quegli stessi anni in alcuni saggi pubblicati negli “Annali della Scuola Normale di Pisa”). Nel 1976 completerà questo suo ciclo di ricerche con la pubblicazione di Il teatro portoghese del dopoguerra. Trent’anni di censura (Roma, Abete, 1976, un testo mai più ristampato). Ma l’operazione culturale per cui Tabucchi è giustamente celebrato è la pubblicazione delle opere di Fernando Pessoa estratte da quel Baule pieno di gente[1] cui lo studioso pisano darà il titolo di Una sola moltitudine[2], la prima antologia organica (in due volumi) delle opere dello straordinario poeta portoghese. La fortuna italiana di Pessoa, prima sporadicamente tradotto[3] e poco conosciuto, comincia qui. Successivamente, Tabucchi tradurrà altre opere eteronime dello scrittore portoghese (Álvaro de Campos, Bernardo Soares, il dramma solo “da leggere” Il marinaio, l’abbozzo del Faust). Ma, ovviamente, il percorso dello scrittore pisano non si fermerà qui.
Nel 1975, Bompiani pubblica il suo primo romanzo, Piazza d’Italia, storia di un piccolo borgo toscano concepita come una “favola popolare in tre tempi, un epilogo e un’appendice”. In essa le storie di una famiglia di Vecchiano si intrecciano con quelle della storia d’Italia non certo in chiave neo-realistica quanto fantastica e onirica, con personaggi ispirati a persone reali ma declinati secondo schemi e temi debitori al “realismo magico” degli scrittori sudamericani (Tabucchi tradurrà Miguilim di João Guimarães Rosa e, su suggerimento di Luciana Stegagno Picchio, il formidabile romanzo Zero di Ignacio de Loyola Brandão per Feltrinelli). Si tratta di un’operazione di trapianto poetico che va oltre l’ammirazione per i possibili modelli letterari e che sfocia in una prosa densissima di succhi sentimentali ma anche parossistici e grotteschi[4].
Nel 1978 Tabucchi scrive Il piccolo naviglio (Mondatori), testo di ambientazione borghese dedicato alla Stegagno Picchio ma non perfettamente calibrato nelle soluzioni narrative tanto che lo scrittore esiterà a farlo ripubblicare fino al 2011.
Molto più riuscito Il gioco del rovescio e altri racconti pubblicato da Il Saggiatore nel 1981 (e poi ripubblicato da Feltrinelli) e soprattutto il romanzo breve Donna di Porto Pim con cui inizia la collaborazione con l’editore Sellerio di Palermo. Donna di Porto Pim è una storia d’amore e di morte ambientata nelle Azzorre che il regista Raul Ruiz ha tentato invano di portare sullo schermo. Nel 1984, Notturno indiano, sempre da Sellerio, lo consacra scrittore di storie che apparentemente rimangono aperte (il protagonista, arrivato in India sulle tracce di un amico ivi misteriosamente scomparso, dopo un lungo viaggio attraverso il paese che lo porta da Bombay a Madras e poi a Goa sulla scia di una serie di suggestioni ricavate dall’opera di Pessoa, capirà alla fine del percorso che non è il caso di insistere nella ricerca perché il suo scopo è trovare se stesso)[5]. Lo stesso accade in Il filo dell’orizzonte del 1986 al poliziotto Spino (che nel nome porta quello del filosofo Spinoza) che non risolverà il caso criminale cui ostinatamente si dedica ma scoprirà qualche verità su se stesso. Anche Piccoli equivoci senza importanza, raccolta di racconti che contiene due delle storie più note di Tabucchi, Rebus[6] e I treni che vanno a Madras) configurano quella poetica del frammento narrativo e della frantumazione della coerenza dei personaggi la cui vicenda viene fatta conoscere attraverso frammenti di conversazione estemporanea e incursioni folgoranti nel suo passato.
Lo stesso accade nei testi più fantastico-ricostruttivi contenuti in I volatili del Beato Angelico (Palermo, Sellerio, 1987), in L’Angelo nero (Milano, Feltrinelli, 1991) che alterna realismo tradizione e incursioni nel surreale, in Sogni di sogni (Palermo, Sellerio, 1992) dedicato alla narrazione di illustri personaggi letterari a partire da Giacomo Leopardi e soprattutto in Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa (Palermo, Sellerio, 1994), ricostruzione in chiave totalmente onirica delle vicende che precedettero la morte del poeta portoghese.
Nel 1992 scrive Requiem, un lungo monologo-fantasticheria scritto direttamente in portoghese e poi tradotto in italiano da Sergio Vecchio e pubblicato sempre da Feltrinelli.
Ma è nel 1994 che Tabucchi ottiene la consacrazione letteraria in Italia vincendo il SuperCampiello e il Premio Strega con il romanzo Sostiene Pereira. Una testimonianza, storia scritta sotto forma di verbale poliziesco e di protocollo psicoanalitico, che racconta la vicenda del mite Pereira[7], redattore culturale di un giornale lisboete che prova molta simpatia per un suo possibile ma scapigliato collaboratore, Monteiro Rossi, un coraggioso anche se forse troppo poco prudente antifascista che si batte contro l’incipiente dittatura di Salazar nel 1930. Monteiro Rossi morirà per effetto di un brutale pestaggio ad opera della polizia politica di Lisbona e Pereira, prima di lasciare il paese e con la collaborazione del dottor Cardoso[8] con cui ha stretto amicizia nella clinica talassoterapia in cui ha trascorso una settimana per cercare di liberarsi della sua pinguedine, riuscirà a far pubblicare la notizia di questo misfatto della polizia[9].
Nel 1997, Tabucchi riprova a giocare la carta di una storia “nera” ripresa stavolta dall’attualità pubblicando per Feltrinelli La testa perduta di Damasceno Monteiro, narrazione di un delitto realmente accaduto a Porto ad opera di agenti della Guardia Nazionale Repubblicana. Come nei migliori racconti di Poe, la ricostruzione del delitto che, nel libro, risulta affidata all’acume di un avvocato pletoricamente grasso o e ansimante ribattezzato Loton per questo (dal fisico del grande attore britannico Sir Charles Laughton), si rivelerà vera e sufficientemente suffragata dai fatti.
Dal 2001, anno di Si sta facendo sempre più tardi. Romanzo in forma di lettere edito da Feltrinelli, la produzione letteraria di Tabucchi tende a rarefarsi e ad abbandonare quasi del tutto la forma-romanzo. Solo Tristano muore. Una vita (Milano, Feltrinelli, 2004) costituisce un’eccezione a questa tendenza: raccolta delle ultime frasi pronunciate da un uomo ormai famoso, partigiano celebrato per il suo coraggio, il libro è costituito di frammenti e lacerti di memoria, rievocazioni un po’ astratte e lancinanti di un passato che si ostina a non passare e cjhe nasconde ancora un bruciante segreto di morte e di tradimento.
Dopo il 2004, la scrittura di Tabucchi si concentra e ripiega maggiormente su libri diaristici (Viaggi e altri viaggi, Milano, Feltrinelli, 2010; Girare per le strade, Palermo, Sellerio, 2012) o di polemica politica (L’oca al passo, Milano, Feltrinelli, 2006).
In tutte le sue opere successive all’esplosione creativa degli anni Ottanta, la poetica della conoscenza obliqua e laterale dei personaggi descritti per accenni e mediante un accostamento laterale e la narrazione di storie che restano aperte e ambigue nelle conclusioni finali lo caratterizzerà sempre. E’ a questo modello di scrittura (poi ripreso da molti suoi ammiratori e sodali) che si deve il suo principale contributo all’evoluzione e al rinnovamento dei moduli semantici della narrativa italiana del secondo Novecento dal neorealismo alla postmodernità esibita degli emuli di Umberto Eco.
1
[1] E’ il titolo di una raccolta di Scritti su Fernando Pessoa pubblicati da Tabucchi per la Feltrinelli di Milano nel 1990.
[2]
Cfr. F. PESSOA, Una sola moltitudine, 2 voll. , trad. it. e cura di A,. Tabucchi e J. M. de Lancastre, Milano, Adelphi, 1979 (più volte ristampato).
[3]
La prima trad. it. di un testo pessoano è Poesia (4 poemas de Pessoa), in Poesia, Quaderno Secondo, Milano, Mondadori, 1945, pp. 370–373. La prima vera traduzione organica e argomentata di una parte delle opere poetiche dello scrittore portoghese è Poesia di Fernando Pessoa, a cura di L. Panarese (con cronistoria della vita e delle opere), Milano, Lerici, 1967.
[4] Una prova dell’ambiguità del progetto narrativo di Piazza d’Italia può essere ritrovata nella messinscena teatrale scritta e diretta da Marco Baliani e andata in scena nel 2009 al Teatro “Fabbricone” di Prato.
[5]
Alain Corneau trarrà da questo romanzo nel 1989 uno dei suoi migliori film, interpretato da Jean Hugues Anglade.
[6]
Da Rebus lo stesso scrittore in collaborazione con Sergio Vecchio e il regista Massimo Guglielmi trarrà nel 1990 la sceneggiatura di un film dallo stesso titolo, diretto da Guglielmi e interpretato da Charlotte Rampling, Fabrizio Bentivoglio e Christian Malavoy che contiene una memorabile sequenza di gara automobilistica di auto d’epoca. Lo scrittore si trovò però a disagio nel lavoro di stesura della sceneggiatura perché costretto ad ampliare molto le poche pagine del racconto originario inserendovi altri episodi non contenuti in esso (si tratta di una dichiarazione fatta a me da Tabucchi). E’ infatti l’unico caso di sceneggiatura cinematografica dello scrittore di Vecchiano.
[7]
Il nome Pereira, peraltro diffusissimo in Portogallo, viene però da un verso di T. S. Eliot (What about Pereira ), contenuto in una delle poesie della raccolta The Love Song of Alfred Prufrock and Other Poems. Pereira usa parlare con la foto della moglie defunta da tempo per chiedergli consiglio e averne conforto allo stesso modo in cui si comporta il capitano Nathan Brittles (John Wayne) nel film I cavalieri del Nord-Ovest (She Wore a Yellow Ribbon, 1949) di John Ford.
[8]
Nel corso del romanzo il dottor Cardoso spiegherà a Pereira la teoria della “confederazione delle anime“ dei philosophes-medecins T. Ribot e P. Janet che, in quello stesso periodo, affascinò a lungo la mente di Luigi Pirandello.
[9]
E’ un vero peccato che il film di Roberto Faenza dallo stesso titolo, uscito nel 1995 e interpretato da Marcello Mastroianni nel ruolo di Pereira, di Stefano Dionisi in quello di Monteiro Rossi, di Nicoletta Braschi in quello di Marta, la donna di Monteiro Rossi e di Daniel Auteuil in quello del dottor Cardoso, non renda adeguatamente il tono e le atmosfere culturali e umane del romanzo.