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Antonioni, pittore dello schermo

Creato il 15 aprile 2013 da Ilsegnocheresta By Loretta Dalola

Che-Tempo-che-faL’arte raccontata dal professor Flavio Caroli all’interno del programma Che Tempo che Fa condotto da Fabio Fazio ci conduce dentro il mondo del regista Michelangelo Antonioni, al quale, Ferrara, sua città natale, dedica una mostra,  “Lo sguardo di Michelangelo. Antonioni e le arti”  a Palazzo dei Diamanti.  Il quesito posto del professore è, quanto ha dato la pittura al cinema di Antonioni e quanto ha preso?

Non solo regista ma artista completo: pittore, scrittore capace di far dialogare nel suo cinema diversi linguaggi. Autore di un raffinato cinema d

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i sguardi, sensibilissimi. Antonioni amava la pittura e l’ha fatto vedere subito nei suoi film come per esempio ne “La Notte” del 1961 dove l’abbondante omaggio alla pittura è sottolineato dai quadri appesi alle pareti della casa del protagonista, Marcello Mastroianni. Dal quadro di Sironi a Giorgio Morandi, pittore a cui Antonioni era particolarmente legato per la sua purezza, serietà e profondità. “Per quella sua dimensioni esclusiva dello sguardo, – sottolinea Flavio Caroli – Antonioni era innamorato della pittura e ne ha cominìciato a farne un largo uso subito e tutto questo io l’ho intuito già da adolescente, quando nel 1963 ero ai primi anni del liceo a Ravenna,  sono andato a vederlo girare alcune  scene di “Deserto rosso” con Monica Vitti accanto ad un carretto della frutta. Ho bigiato la scuola. Il primo giorno vedo che dipingono le pareti di grigio e Antonioni non era contento. Il secondo giorno dipingono la strada e Antonioni non era contento. Poi di seguito, il carretto, la frutta e infine l’uomo della frutta e finalmente girano. Al
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lora ho capito che il problema, non era il colore realistico ma il colore-stato d’animo, quel grigiore universale”.Nel 1980 quando ha realizzato “Il mistero di Oberwald” ha anticipato i tempi utilizzando la tecnica digitale per modificare i colori del paesaggio, voleva sottolineare che i sentimenti degli uomini colorano il paesaggio e anche qui diventa il paesaggio-stato d’animo. 

Antonioni è uno dei padri della modernità cinematografica. ” Scopre che i colori della natura sono anche i colori dell’anima, è una teoria che lui ha formulato ed è stato un pioniere nella storia del cinema, perché  l’ha applicata nei suoi film”. Con “Zabrinskie Point” nel 1970, la sua eplosione universale, realizzata con la tecnica dello slow-motion, dove tutte le forme volano, creando l’immagine del caos, l’ha fatta proprio per citare l’americano Pollock e la sua arte pittorica. E ancora un’incredibile immagine di colline con sabbia e figure umane che si abbracciano e scivolano, rotolando dentro l’ambiente naturale, confondendosi con esso, chiaro rimando a Mario Schifano e al suo “Tutti morti” dove la scena è la stessa.

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be chiedersi chi cita l’altro?

E il viaggio delle citazioni clamorose continua in “Professione Reporter” del 1975 dove la dune diventa forma assolutamente essenziale, fatta solo del rosa del deserto e dall’azzurro del cielo, come in Mondrian dove la sintetizzazione massima è proprio nelle dune e nel blu del cielo. Un omaggio diretto. E ancora il particolare sfondo rosso con un accenno di bianco come nel quadro di Schifano dove viene dipinto un fondo rosso con alcuni richiami della scritta Coca Cola.

Film che segnano la nascita di un nuovo modo di fare cinema, sia in termini narrativi che estetici, accostando la pellicola a opere di grandi artisti, come De Chirico, Morandi, Rothko, Pollock, Burri e Vedova, e offrendo un inedito e suggestivo dialogo tra film e pittura, filosofo assoluto nell’affermare che la dimensione dell’occhio permette di capire, possedere e amare tutto il visibile, offrendoci contemporaneamente gioia.

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Visioni palpitanti che Flavio Caroli ripercorre nella parabola creativa di Antonioni, attraverso un suggestivo dialogo tra film e pittura.


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