[copia/incolla integrale di un bel pezzo attorno all'antropologia del benessere nella nostra società. Gli spunti sono innumerevoli. Grassetto mio.]
Nata come risposta a un duplice disagio, quello specifico, legato alle patologie connesse a un cattivo “trattamento” del corpo, unito a quello più generale, ma in vario modo connesso al primo, che si suole indicare come il disagio della civiltà, la cultura del fitness/wellness ha conosciuto negli ultimi anni una gigantesca espansione, facendosi sempre più eclettica e sincretica, mescolando e assorbendo modelli di consumo insieme a ideologie e filosofie alla moda. I suoi settori spaziano dalla bioarchitettura all’ artigianato tradizionale ecocompatibile, alla fitocosmetica, alle scienze motorie, alla chirurgia plastica e alla medicina estetica, all’ alimentazione biologica, all’ ecologia domestica, al termalismo, all’ erboristeria, alla fotocromoterapia e così via. Oltre ad essersi consolidata in alcuni spazi topici, quali le palestre e i centri estetici, essa invade in forme diverse nuovi luoghi, come le farmacie, le case private e perfino le aziende.
L’ affermazione del fitness e del wellness è anche effetto della presa d’ atto dello scollamento esistente tra la ricchezza delle risorse che la scienza ha accumulato nell’ arco di decenni, e la incapacità dell’ uomo di sfruttarle per produrre benessere e felicità. Questa cultura deriva, a volte superficialmente e confusamente, modelli e metodi dal pensiero filosofico, e in particolare dalla Gestalt, dall’analisi transazionale, dalle filosofie orientali e persino dalla teoria marxiana dei bisogni, ed adopera, a volte impropriamente, cifre e strumenti scientifici in cui sono evidenti derivazioni dalla neurologia, dalla bioelettronica, dalla biocibernetica, dalla psicocibernetica, dalla medicina preventiva, dalla chinesiologia, dalla neurolinguistica. Questa presa d’ atto ha sollecitato l’ adozione di tecnologie e tecniche per eliminare questo divario e produrre benessere mediante la difesa e cura quotidiana della propria salute fisica e mentale, sul fondamento di un quadro olistico per un verso e di conoscenze (a volte eccessivamente) iperspecialistiche per un altro.
Se la medicina tradizionale conferisce importanza alla fase terapeutica, la cultura del fitness e del wellness aspira invece a prevenire le patologie informando e modificando lo stile di vita. A partire dalla seconda metà del secolo precedente, il fitness si è progressivamente spostato da una concezione meramente muscolare ed energetica a una idea più ampia della bellezza, associata a corrispettivi modelli di consumo, di cui l’ alimentazione vegetariana ha costituito l’ aspetto più vistoso; una fase successiva è stata meglio segnata dall’ idea del benessere interiore, con l’ emergere di nuovi consumi associati a mode più spirituali, quali la meditazione, lo yoga, l’ ecoarchitettura; in questi ultimi anni l’ idea che emerge con forza crescente è quella della ricerca del benessere psicofisico, che conferisce centralità indiscussa alla mente.
La regola di base è ritornare alla natura attraverso la scienza, ossia utilizzare la scienza per trarre dalla natura le proprietà attive in grado di assicurare al corpo un sano equilibrio vitale, come base di uno stato di benessere generale. Alimentazione “naturale”, agricoltura biologica, erboristeria collaborano a questo scopo. Le nuove tecnologie del cosiddetto “fitness della mente” aspirano a far funzionare meglio il cervello non con medicine, ma in maniera naturale, facendogli guadagnare o ri-guadagnare elasticità, misura prima del suo benessere. La cultura del fitness/wellness aspira a ricomporre l’ armonia tra mente, spirito, corpo, fare un uso corretto del cervello, favorire le capacità di concentrazione, memorizzazione, creatività, promuovere un approccio positivo alla vita, contrastando i processi degenerativi legati all’ invecchiamento.
Il corpo non è solo un bene prezioso che deve essere tutelato e accudito, ma è anche un corpo modellabile; l’ idea, peraltro non nuova, ma riproposta con nuova forza, della sua plasmabilità consente di appagare il bisogno di migliorare la propria immagine fisica. La bellezza (in una versione sempre più multietnica) e il benessere psicofisico sono profondamente associati nella cultura del fitness/wellness. Se la finalità prima è quella di star bene con se stessi e cogli altri, a volte il modellamento narcisistico della propria immagine secondo bellezza risulta dominato dall’ idea del successo nelle relazioni sociali: situazione non del tutto legittimata in una società orientata verso la concretezza e la produttività: la bellezza ha il pieno dominio in alcuni settori, come quello della cosmesi, della chirurgia plastica, della medicina estetica, ma conserva uno statuto ambivalente in rapporto alla complessità sociale.
Il fitness/wellness emerge dalla postmodernità e, nel progetto di ritrovare nuove forme di armonia, sembra recuperare forme di vita tradizionali, quali il movimento armonioso e lento dei ritmi vitali, come contrasto salvifico con l’ impazienza nevrotica della vita moderna; la capacità elementarmente umana di essenzializzare e semplificare l’ esistenza, unita alla percezione della necessità dell’ adattamento; l’ avvaloramento dei gesti minimi della quotidianità, che restituiscono le trame di senso e la sacralità delle iniziazioni, dei passaggi, delle conferme; la sapienza orientale che sposa l’ attitudine alla meditazione al giusto distacco di fronte alla vita. Insomma tutto ciò che contrasta l’anomia e la confusione in cui ci precipitano i ritmi della vita contemporanea. Tutto ciò convive accanto alla tendenza diffusa ad assorbire sempre nuove esperienze, collezionare piaceri.
Il fitness/wellness è anche – lo ha confermato Bauman – concezione del corpo come “recettore di sensazioni, che assorbe e assimila esperienze, e la sua attitudine a essere stimolato lo trasforma in strumento di piacere, sintonizzato verso il piacere di qualunque genere: sessuale, gastronomico o derivante da esercizio fisico o da pratiche di fitness“. Questo implica che nella post- modernità gli uomini contaminano etica ed estetica, e tendono a vivere secondo principi e regole che afferiscono al campo della bellezza e contemporaneamente a quello dell’ etica. La centralità dell’ esperienza del corpo significa innanzitutto centralità del cibo, del sesso, della parola, e quindi delle esperienze cinestetiche, tattili e gustative, articolatorie, auricolari ad essi connesse. Il piacere diretto ora si associa al narcisismo del mostrarsi, o ne prende interamente il posto. Alla pura esibizione, che dominava la sensibilità dei decenni precedenti, subentra l’ esaltazione multisensoriale. In questa nuova forma l’ erotismo guadagna una nuova centralità. Tutto questo plasma anche il nostro rapporto con l’ alterità.
La cultura del fitness/wellness nasce in un mondo globalizzato, la cui ricchezza è costituita dalla molteplicità delle culture ancora capaci di esercitare la meraviglia che alimenta le emozioni della diversità; questa molteplicità va difesa e conservata nella sua irriducibile alterità, perché fonte di sensazioni ed emozioni. Il fitness/wellness concilia in maniera singolare globale e locale, universalismo e relativismo, e può incoraggiare la tolleranza e la solidarietà tra diversi. Inoltre, la possibilità di personalizzare i programmi di fitness/wellness, determinando frequentemente il passaggio alla loro gestione privata, può avere conseguenze che modificano il nostro stesso modo di stare nel mondo: Bauman ha colto perfettamente che, mentre il corpo nelle epoche precedenti era rigidamente regolamentato, il corpo recettore di sensazioni “è diventato in modo incontestabile proprietà privata, ed è compito del proprietario averne cura. La persona deve addestrare e perciò vincolare il corpo, perché si lasci andare non vincolato da impedimenti. Il passaggio dall’ istruzione e dal controllo socialmente impartiti all’ autocontrollo e all’ autoistruzione cancella ogni distinzione tra soggetto e oggetto, tra agire e subire, l’ azione e i suoi prodotti“.
Le discipline del fitness cambiano l’ approccio gnoseologico alla vita, perché aspirano a produrre felicità e bellezza, non a ricercare o comunicare verità. Questo pone indubbiamente il problema, se la costruzione della realtà secondo felicità e bellezza possa essere legittimata dagli effetti, senza essere fondata su qualcosa che somigli alla verità. Certo, il terapeuta può anche disinteressarsi degli aspetti filosofici del problema e ragionare semplicemente a partire dagli effetti direttamente verificabili, cioè dal benessere corporeo e mentale conseguito. Ma vale lo stesso per il ricercatore, lo scienziato sociale, l’antropologo che hanno bisogno forse di altri criteri di riferimento e di validità? E’ sufficiente sostenere che comunque la cultura del fitness/wellness, rendendo gli uomini sereni e attaccati alla vita, contribuisce almeno in parte a rimuovere le cause del disagio del nostro tempo?
Nella concezione classica la felicità si faceva coincidere con la virtù. La felicità come esperienza soggettiva è una conquista recente, che si contrappone all’ idea che essa debba essere il risultato di un impegno collettivo o che debba essere definita dal potere. La cultura del fitness/wellness sembra tuttavia aspirare a una definizione della felicità, oltre a indicare i mezzi per edificarla. Inoltre, la filosofia del fitness pretende che gli uomini siano felici in un mondo minacciato da mille pericoli e da un’ infelicità diffusa.
Esiste una strada intermedia, tra chi cerca la felicità fuori dal tempo e indifferente ad esso, e chi ritiene che non si può non essere infelici in un mondo che va alla deriva?
Fonte: Assobenessere