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Apologia del nemico

Creato il 27 giugno 2010 da Lanterna

Foto: flickr

Apologia del nemico

Ci sono due post, scritti nei giorni scorsi, che mi hanno fatto riflettere.
Uno riguarda il concetto di nemico.
L'altro riguarda un personaggio che in una certa cultura ha rappresentato il nemico per eccellenza.
Io credo che il concetto di nemico, per gli esseri viventi, sia connaturato alla condizione di vivere in un mondo in cui le risorse non sono infinite: vale per gli accoppiamenti, per il cibo, per i luoghi dove fare il nido o la tana. Vale per i grandi interessi delle potenze mondiali così come per l'ultimo pezzetto di focaccia che lumavi da lontano e che ti è stato rubato dalla massaia davanti a te. Vale per le alture del Golan come per la femmina fertile contesa tra tutti i gatti della cascina.
Quindi credo non sia possibile cancellare il concetto di nemico. Semplicemente, credo che sia possibile modularlo in modo da togliergli quell'accezione negativa e fanatica che contraddistingue la nostra epoca.
Da quando l'opinione di massa ha un qualche peso nelle scelte politiche, il potere fa ogni sforzo per presentare la guerra di turno come giusta e indispensabile. Il modo più semplice è presentare il nemico come un mostro: è successo con Gheddaffi (che ora invece viene riverito e trattato come un simpatico eccentrico), è successo con Saddam Hussein, sta succedendo con Ahmadinejad (che però, ammetto, ce la sta mettendo tutta per aiutare gli USA a rappresentarlo come un guerrafondaio testa di cazzo).
Per noi, non è pensabile che il nemico sia semplicemente uno come noi, con le sue motivazioni altrettanto valide che le nostre: è un cancro da estirpare, per il bene dell'umanità. Diciamo anche che i precedenti di Hitler e Stalin hanno aiutato a radicare questa convinzione.
Pensiamo invece ai nostri antenati, gli arretrati Greci che, quando conquistavano una città, la radevano al suolo e rendevano schiavi tutti i suoi abitanti. I Greci effettivamente si comportavano come se il nemico fosse una gramigna da estirpare per sempre: quanta differenza rispetto ai Romani, che invece, se la città si sottometteva, cercavano di non apportarle ulteriori danni e le permettevano persino di mantenere una certa autonomia, se compatibile col dominio romano.
Eppure i Greci, nel poema che dà le fondamenta di tutta la narrativa occidentale, danno moltissimo spazio ai nemici Troiani e mai, neanche per un momento, si insinua l'idea che i Troiani siano peggiori degli Achei: hanno il solo torto di avere un principe idiota e pavido, che ha rapito la moglie di un importante re acheo. OK, anche qui c'è un pretesto a mascherare le vere mire degli Achei, ma nemmeno per un attimo si prova a rappresentare Paride come un malvagio manipolatore e/o i Troiani come un popolo crudele e/o corrotto e/o soggiogato da un tiranno crudele.
Anzi. Ettore, il leader dei nemici, è la summa di tutte le virtù dell'uomo ideale. Lo dicevo già qui, spiegando perché ho chiamato mio figlio come lui.
Omero esalta Ettore esattamente come farebbe con un principe acheo, sciorinandone tutte le virtù: grande guerriero, rispettoso del padre anziano, amante della sua famiglia e di sua moglie, Ettore non litiga per una concubina, non invoca la mamma, non fa i capricci smettendo di combattere. Ettore lotta per difendere casa sua, e questo lo rende impeccabile.
D'altro canto, nell'Iliade, anche i favori degli dèi si dividono equanimamente tra Achei e Troiani. Nell'Iliade non c'è un conflitto di civiltà, ma un duello mortale da cui tristemente deve uscire un vincitore. L'autore, interpretando probabilmente i sentimenti del suo popolo, si rende conto di parteggiare per gli Achei solo perché sono casualmente il popolo in cui è nato.
Non siamo ancora nel clima delle Guerre Persiane, in cui si confrontavano due modi opposti di intendere il potere, le leggi, la giustizia e la cultura.
Non a caso, Roma volle fortissimamente alimentare il mito di una propria discendenza da Enea. A che pro discendere da uno sconfitto? Quale popolo vorrebbere discendere da Saddam Hussein come viene descritto oggi? Il nocciolo della questione è tutto lì: Enea viene sconfitto perché tale è il volere degli dèi, non perché Troia fosse umanamente o politicamente o militarmente inferiore alla Grecia.
Enea merita la propria seconda possibilità, perché è un uomo di valore esattamente come lo era Ettore (con, in più, una madre imbarazzante: c'è un punto dell'Iliade in cui Enea rischia di essere ucciso e sua madre Afrodite interviene per salvarlo, venendo peraltro ferita - lo so che tutte noi potendo l'avremmo fatto, ma che vergogna per un guerriero essere salvato da mammina!).
Enea porta a Roma tutti i valori di Troia, il che viene visto come una buona cosa: non si tratta della Mayflower che fugge da una persecuzione, ma semplicemente di un emigrante costretto ad andarsene dalla sua terra perché non ci può più vivere.
Poi, per carità, nello specifico si può anche considerare Enea uno stronzo passivo manovrato dagli dèi, per via di tutta la faccenda di Didone, da cui noi donne siamo sempre molto colpite (e che secondo me dovrebbe essere insegnata non solo nell'ora di epica, ma anche in un'ipotetica ora di educazione sentimentale).
Però non è che il vincitore Ulisse si comportasse molto meglio, passando dalla maga Circe alla ninfa Calipso e presentandosi bel bello a casa dopo 20 anni, pure con la pretesa che sua moglie gli fosse stata fedele (e buon per lei che i Proci erano veramente inavvicinabili, bleah): perlomeno Enea era vedovo e gli stavano ripetendo ad nauseam da anni che doveva andare in Lazio e fondare una città per il bene dell'umanità ecc. ecc. Cosa non si fa per i posteri.


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