Come spesso avviene, le parole più suggestive degli autori sono atrofizzate in interpretazioni banali. Si leggano i seguenti versi: “Accosto il volto a evanescenti labbri: / si deforma il passato, si fa vecchio,/ appartiene ad un altro...” “Appartiene ad un altro” non significa, infatti, che ora la donna condivide la sua esistenza con un altro uomo. Montale è conscio che l’identità individuale è labile, inconsistente, affidata ad una memoria di sé che è il tentativo di strappare alla dimenticanza ed alla fuga del tempo qualche brandello del proprio essere. "Appartiene ad un altro", ossia a qualcuno in cui non ci si riconosce, a chi non è più, al niente…
Che cosa garantisce che siamo gli stessi di un tempo? Solo l’abitudine a percepirci come coincidenza con le esperienze trascorse. Se cancelliamo la memoria, siamo ancora noi stessi? Esiste un substrato su cui alligna la coscienza o l’anima, per dirla con Hume, è un fascio di sensazioni? Una pianta che – si presume – non è dotata di facoltà mnemoniche, è ogni istante un essere nuovo?
Il paradosso della nave di Teseo (leggi Tèseo) esprime la questione metafisica dell'effettiva persistenza dell'identità originaria, per un'ente le cui parti cambiano nel tempo; in altre parole, se un tutto unico rimane davvero sé stesso oppure no dopo che, col passare del tempo, tutti i suoi pezzi componenti sono cambiati con altri uguali o simili.
Si narra che la nave in legno sulla quale viaggiò il mitico eroe greco Teseo fosse conservata intatta nel corso degli anni, sostituendone le parti che via via si deterioravano. Giunse quindi un momento in cui tutte i pezzi adoperati in origine per costruirla erano state sostituite, sebbene la nave stessa conservasse esattamente la sua forma originaria.
Ragionando su tale situazione - la nave è stata completamente rimpiazzata, ma allo stesso tempo essa è rimasta la nave di Teseo - la questione che ci si pone è la seguente: la nave di Teseo si è conservata oppure no? Ovvero l'oggetto, modificato nella sostanza ma senza variazioni nella forma, è ancora il medesimo oggetto o gli somiglia soltanto o è un altro?
Il paradosso si può riferire all'identità della nostra stessa persona che, nel corso degli anni, cambia in modo notevole sia sotto il profilo fisico sia sotto quello psicologico. Nonostante ciò, sembra che un quid individuale sia preservato.
Le attività psichiche (memoria, appercezione, proiezione…) paiono le garanzie di una continuità temporale da cui dipende l’idea della propria identità. Se tuttavia aboliamo il tempo, la concatenazione cronologica, che cosa resta? Siamo solidificati nella coscienza dell’io, ma nulla è più evanescente ed illusorio dell’io, leggero fardello, pesante piuma. L’io è prigione senza sbarre, è una cella i cui muri sono d’aria, una catena i cui anelli si spezzano, non appena si sprofonda nell’estraniamento da sé, nel non essere.
Montale, consapevole che l’identità è inconsistenza, sente il terreno franargli sotto i piedi. L’uomo, nel momento in cui intuisce che l’unico punto stabile e l’instabilità del ricordo (ora inafferabile ora fallace ora sfocato ora unidirezionale) rischia di sdrucciolare nel nulla.
Eppure il senso di vertigine al cospetto dell’abisso è anche estasi sublime, emancipazione dai ceppi dell’ego. Davvero, dato che la vita è questa, “svanire è la ventura delle venture”.
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APOCALISSI ALIENE: il libro