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Appassionati di Cinema e soprattutto di Western all'italiana ecco Un minuto per pregare, un istante per morire di Davide Comotti:

Creato il 30 maggio 2011 da Milemary

Appassionati di Cinema e soprattutto di Western all'italiana ecco Un minuto per pregare, un istante per morire di Davide Comotti:

Come spesso accade nella settima arte, per ragioni alquanto misteriose, nella cinematografia di un regista i suoi film meno conosciuti risultano essere i più belli. È questo il caso di Un minuto per pregare, un istante per morire, western italiano diretto da Franco Giraldi nel 1967.

Giraldi (nato nel 1931), sceneggiatore e regista cinematografico e televisivo italiano, aveva esordito l’anno precedente con i due western Sugar Colt e Sette pistole per i MacGregor (al quale seguirà nel 1967 Sette donne per i MacGregor). Si tratta di pellicole ben girate e godibili, ma sicuramente più “leggere” e meno interessanti rispetto al cult di cui si va a parlare.

Un minuto per pregare, un istante per morire fa parte infatti di quel filone del western italiano incentrato sulle vicende, psicologicamente complesse e drammatiche, di personaggi destinati alla sconfitta. In particolare, ho individuato una trilogia di film che comprende, oltre al film in questione, Il Grande Silenzio (1967) di Sergio Corbucci e La taglia è tua…l’uomo l’ammazzo io! (1969) di Edoardo Mulargia. In questi tre film assistiamo al sovvertimento delle regole classiche del western, anche di quello italiano: il “buono” (se di buono si può parlare, in contesti così spietati) è il fuorilegge, un uomo sconfitto, magari addirittura innocente oppure intenzionato a cambiare vita, ma che non può farlo in quanto è perseguitato dal suo passato e dai rappresentanti della legge e dai cacciatori di taglie (i celebri bounty killers, che in numerosi western nostrani sono invece rappresentati come eroi).

Il film di Giraldi è ambientato subito dopo la fine della Guerra di Secessione, in un clima realistico di violenza e disordine, quando i fuorilegge e gli sbandati di ogni tipo sono ricercati dai bounty killers per intascare le loro taglie: il governatore Lem Carter (Robert Ryan), per porre fine al massacro, promulga un’amnistia per i ricercati che sono disposti ad arrendersi e consegnare le armi. Il fuorilegge Clay McCord (Alex Cord), sulla cui testa pende una taglia di diecimila dollari, decide di arrendersi, dopo un’iniziale rifiuto, ma sia i bounty killers sia lo sceriffo Roy Colby (Arthur Kennedy) non sono intenzionati a dargli tregua. Solo il governatore crede alla sua parola. Finalmente riabilitato dall’amnistia, Clay è un uomo libero, ma due spietati cacciatori di taglie, ignari di questo, gli tendono un agguato e lo uccidono.

Protagonista principale del film è dunque l’attore americano Alex Cord, più conosciuto in patria che in Italia.

Ma ciò che colpisce maggiormente è la presenza di due giganti di Hollywood, addirittura in ruoli principali: Robert Ryan e Arthur Kennedy, granitici interpreti di numerosi western d’oltreoceano. Infatti, il film è il frutto di una co-produzione con gli Stati Uniti. Peraltro, l’esperienza di Arthur Kennedy nel cinema italiano non finisce qui: lo ricordo, per esempio, come co-protagonista in due polizieschi, il truce Roma a mano armata (1976) di Umberto Lenzi e il bellissimo La polizia ha le mani legate (1974) di Luciano Ercoli.

Una delle particolarità di Un minuto per pregare, un istante per morire è la felice convivenza di questi grandi attori del western classico americano con numerosi caratteristi del western italiano: a cominciare dagli spagnoli Aldo Sambrell e Antonio Molino Rojo (protagonisti di un memorabile duello, all’interno di una chiesa, con Alex Cord e il suo compare Giampiero Albertini), continuando con la bella Nicoletta Machiavelli, il leoniano Mario Brega, Franco Lantieri, José Manuel Martin, José Canalejas e Osiride Peverello (questi ultimi due sono i cacciatori di taglie che, al termine del film, uccidono il protagonista).

Le interpretazioni sono tutte intense, e ciascun attore è perfetto nel proprio ruolo: Alex Cord è il fuorilegge sofferente e perseguitato, Robert Ryan il governatore giusto e comprensivo verso i problemi del popolo, Arthur Kennedy lo sceriffo severo e inflessibile, ma in fondo onesto. Anche i personaggi di contorno sono efficaci, in particolare Mario Brega, che interpreta il crudele capo del villaggio di fuorilegge, Escondido, dove Clay McCord trova temporaneamente rifugio.

Tutto il film è permeato da un clima malinconico e pessimista, quasi crepuscolare, dal quale è bandita ogni forma di epica; e la malinconica colonna sonora di Carlo Rustichelli, che percorre tutta la pellicola, rende alla perfezione questo clima di tristezza e sconfitta. Il film, girato tra Italia e Spagna, è perfetto anche nelle ambientazioni.

La regia di Franco Giraldi è sempre ottima, valorizzata in questo caso da uno splendido soggetto e da una perfetta sceneggiatura. Alcune scelte registiche risultano particolarmente felici: per esempio, l’incipit del film, il quale si apre bruscamente, prima ancora dei titoli di testa, con i due ricercati che fuggono in un campo, braccati dai cacciatori di taglie; oppure i ricorrenti flashback del protagonista, che ricorda con angoscia la morte del padre.

Clay McCord non solo è perseguitato dai bounty killers, ma soffre anche di attacchi di paralisi al braccio destro, che lo colgono spesso nei momenti d’azione. La causa è una pallottola mai estratta dalla schiena, e solo verso la fine del film, grazie a un intervento chirurgico, egli riesce a guarire. A questo punto, è impossibile evitare di notare la somiglianza con il pistolero interpretato da John Wayne nel western americano El Dorado (1966) di Howard Hawks. Anche in questo caso, il personaggio soffre di ricorrenti paresi a un braccio, causate da una pallottola rimasta nella schiena. Ma, guardando i due film, ho notato anche un altro elemento interessante. Hawks, in El Dorado, ricorre a un certo punto a un particolarissimo tipo di inquadratura: durante una sparatoria, all’interno di una chiesa, uno dei banditi viene colpito e cade dall’alto proprio sull’obiettivo della cinepresa. Nel film di Giraldi, durante una sparatoria (guarda caso, ancora in una chiesa), Aldo Sambrell viene colpito dal compare di Alex Cord, e precipita dal campanile; in questo caso, l’uomo non cade proprio sulla macchina da presa, ma viene utilizzata un’inquadratura simile, con la cinepresa posta in basso e Sambrell che cade quasi perpendicolarmente all’obiettivo, con un forte effetto vertiginoso.

Ora, prendendo atto di tutti questi elementi, è possibile pensare che Giraldi abbia quantomeno visto El Dorado, un western che, a sua volta, sembra influenzato in alcune situazioni dal western italiano. E, come già ricordato, Un minuto per pregare, un istante per morire è co-prodotto proprio con gli Stati Uniti.

Ma il western di Giraldi è, a tutti gli effetti, un western all’italiana, per la caratterizzazione dei personaggi, per la crudeltà di certe situazioni, e per la sconfitta a cui è destinato il protagonista. È interessante notare, infatti, che la versione americana del film si conclude con Clay McCord riabilitato dall’amnistia, e sono tagliati gli ultimi minuti, durante i quali egli viene ucciso: il western americano, infatti, non poteva accettare la morte del protagonista “buono”, perché contraria ai suoi principi. Il western italiano, invece, si dimostra ancora una volta più realistico rispetto a quello d’oltreoceano.

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