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Appello di John Cantlie: non scordate gli ostaggi morti, i governi salvino quelli vivi.

Creato il 14 ottobre 2014 da Maria Carla Canta @mcc43_

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John Cantlie, reporter e ostaggio dell’Isis, ci ha lanciato un appello con il solo mezzo per lui possibile: Dabiq4, il magazine dello Stato Islamico. I media internazionali hanno dato risalto al fotomontaggio in copertina: la bandiera nera che sventola sul Vaticano, dell’articolo di Cantlie hanno colto soltanto l’aspettativa d’essere ucciso, come altri prima di lui, non come sarebbe possibile salvarlo insieme ad altri ostaggi americani e inglesi. La loro vita sarà salvata se Usa e Gran Bretagna, come altri stati hanno fatto, tratteranno con Isis, lo Stato Islamico, lo scambio: ostaggio occidentale contro miliziani incarcerati.
Non si lasci svanire il ricordo di queste morti, chiede Cantlie. Dite al nostro governo di parlare, chiede alla moglie, ai famigliari, ai colleghi della stampa.
A noi, spettatori impotenti di questo dramma, una cosa almeno è possibile: infrangere l’omertà dei media e leggere le sue parole. Conoscere cosa c’è dietro le vicende degli ostaggi e tutto quello che John Cantlie ha voluto condividere su di sé e sui compagni di prigionia, su quelli che ha visto andarsene per tornare in patria salvi e quelli che ha visto andarsene verso la morte. “Che cosa fa tutto questo a un uomo?”…..

LA VERA STORIA DIETRO AI MIEI VIDEO
di John Cantlie

Chiedo scusa in anticipo, perché troverete molti riferimenti a me stesso in quest’articolo. Non mi piace parlare di me, sembra arroganza, ma sono la mia voce e le mie parole che vengono analizzate dai giornalisti dopo la diffusione dei video dello Stato Islamico e devo raccontare parte della mia storia per mettervi nella corretta prospettiva.

L’obiezione comune è che i video seguono un copione e che forse non ho voce in capitolo sul contenuto. Questo non è vero. I mujahidin suggeriscono i titoli iniziali, io scrivo i testi, ne consegno una copia per eventuali modifiche da fare e poi si girano i video. Tutto molto veloce – i primi otto video sono stati scritti, approvati e girati in soli dodici giorni – i mujahidin fanno così. Appena terminato uno, si passa al successivo.

Quando la mente non ha avuto niente su cui lavorare per due anni, tranne pensare alla basilare sopravvivenza, e vieni improvvisamente messo al centro della scena, di fronte dei media di tutto il mondo, è uno shock per il sistema nervoso. Niente, niente, Kablam! Ci sei dentro. Prima ero abituato a lavorare sulle notizie, non a essere la notizia, ed è molto diverso. Ogni parola che si dice viene esaminata, soprattutto se uno è nella mia situazione. Quindi, per capire davvero il contenuto dei video, e perché dico quello che dico a volte, è necessario tener conto della storia dietro le quinte. Come ha detto una volta un amico, io sono un nessuno che non va da nessuna parte, sono solo un uomo in una stanza buia con un materasso sul pavimento. E pulito e confortevole; per un uomo nella mia condizione, è sufficiente.

Quattro dei miei compagni di cella sono già stati giustiziati dallo Stato islamico nel modo più tremendo possibile dopo che i governi, britannico e americano, evidentemente, hanno congiuntamente deciso di non discutere con i nostri carcerieri le condizioni del nostro rilascio. E ora, a meno che qualcosa cambi molto velocemente e in modo molto radicale, attendo il mio turno.

Una condizione simile costringe la mente a cambiare. Ho dovuto diventare sufficientemente duro dentro, a volte solo per riuscire ad arrivare alla  fine di una giornata. Lo shayk che aveva per primo catturato James Foley, nel novembre 2012, aveva detto “Per passare attraverso tutto questo avrete bisogno di un cuore di pietra.” E aveva ragione. Cerco di stare molto calmo e tollerante per riuscire ad accettare la mia situazione. I musulmani la chiamano ‘Qadr Allah,’ la volontà di Dio che determina tutto in anticipo. Sono grato per qualsiasi comodità che ricevo e per ogni piatto di cibo che mi viene dato. Non è stata una strada facile, e alcuni di noi hanno avuto un percorso più arduo.

Quando alla fine ci hanno messo in gruppo con decine di prigionieri europei, abbiamo dovuto vederli andare tutti a casa dai loro cari lasciandosi noi, americani e britannici, alle spalle. Questo è stato un boccone amaro da mandare giù, ma niente in confronto a quello che è venuto dopo. Ho dovuto guardare James, Steven Sotloff, David Haines e Alan Henning uscire dalla porta, uno ogni due settimane dal 18 agosto, per non tornare più, sapendo che stavano per essere uccisi, che andavano incontro alla morte. Dopo che se ne sono andati, i loro volti e la loro morte campeggiano nei titoli di tutto il mondo, quattro sacrificati da una politica insensata.

Che cosa fa questo a un uomo? Dopo aver sopportato anni di dolore, oscurità e rimpianto vedere tutto finire in un modo così orribile; mentre tutti gli altri sono andati a casa, vedere ragazzi come tanti, padri di famiglia, padri amorevoli, uccisi perché per motivi politici i loro governi non avrebbero mai negoziato, non avrebbero nemmeno discusso con le loro famiglie le opzioni per salvarli – si può cominciare a immaginare come ci si sente? Questi non erano segnati a caso da un destino, erano individui prigionieri da anni in una delle crisi con ostaggi di più alto profilo della storia moderna, con decine di testimoni che, tornati a casa, confermavano che erano vivi e potevano essere aiutati. Credo che anche i mujahidin siano davvero sorpresi per quanto facilmente i nostri paesi ci hanno dato per morti.

Noi siamo arrivati tutti allo stesso modo, mettendo un piede davanti all’altro, sostenendoci a vicenda quando era più arduo, pregando insieme ogni giorno. La chiamavamo Dead Zone quando le cose si mettevano male, come gli scalatori dell’Everest guardano da 26.000 piedi d’altezza avvicinandosi alla vetta, quando ogni passo è un’agonia, quando a malapena c’è la forza per andare avanti. Non abbiamo mai abbandonato la speranza che i nostri paesi avrebbero negoziato per la nostra liberazione. Ma per tutto quel tempo, non sapevamo che la decisione sul nostro destino era stata presa mesi prima a Washington, alla Casa Bianca. Non sapevamo che le nostre famiglie, per le quali è stato come essere chiuse in prigione con noi, venivano tagliate fuori dai governi o gli veniva detto che non c’era niente da fare. Non sapevamo che le famiglie erano abbandonate a se stesse nel tentare di tutto e di più, mentre quelli che ne avevano il compito incrociavano le braccia e offrivano loro comprensione.

Che cosa fa questo a un uomo? Ti rende profondamente scosso da una tale ingiustizia. Questo è sicuro. Io non conosco tutti i fatti e, naturalmente, sono di parte. Ma che il leader di uno Stato abbia potuto sedersi e guardarci morire qui, in questo modo, e poi criticare dei partner della NATO per aver riportato a casa la propria gente sembra assolutamente spietato. Da quando non voler vedere i propri cittadini giustiziati di fronte ai media di tutto il mondo è diventato un segno di debolezza?

L’America ha già pagato in precedenza riscatti e scambiato prigionieri con ostaggi detenuti da gruppi terroristici. Perfino quest’anno c’è stato il rilascio del sergente Bowe Bergdahl in Afghanistan, scambiato per non meno di cinque prigionieri di alto livello da Guantánamo. La Gran Bretagna ha anch’essa pagato un riscatto e scambiato prigionieri contro ostaggi con gruppi terroristici conosciuti. Nel 1991 Terry Waite è tornato a casa contro un riscatto di circa 5 milioni di dollari, mentre uno scambio clandestino di prigionieri ha avuto luogo con l’Esercito di liberazione del Kosovo. Questo è stato nel 1994, credo.
Ma non noi. In qualche modo siamo scivolati attraverso ogni rete di sicurezza, ogni cambiamento di politica e siamo finiti a un livello che sarà sicuramente ricordato come uno dei peggiori disastri degli ultimi tempi nella gestione degli ostaggi.

Sì, l’America ha cercato di mettere in atto un ‘salvataggio’, ma invece di spendere tutti quei milioni di dollari per mandare commandos ninja, elicotteri, velivoli invisibili, rischiando innumerevoli altre vite come in un film d’azione di Hollywood, non sarebbe stato più sicuro e più saggio limitarsi all’opzione di discutere uno scambio di prigionieri, in primo luogo? Anche se non si fosse trovato un accordo, sicuramente valeva la pena discutere con lo Stato islamico. Quale maggior danno poteva derivare da dei negoziati? Non capirò mai perché ci hanno ritenuto così sacrificabili, ma in realtà ora questo non importa più.  Guardare i tuoi amici morire in quel modo quando sembrava che ci fosse così tanto che si sarebbe potuto fare a livello politico per impedirlo è stato estremamente difficile. Mi aspettavo che i colpi peggiori mi sarebbero venuti da dentro queste mura carcerarie, non dal di fuori, e questo quasi mi ha spaccato a metà. La Gran Bretagna è un piccolo paese, una nazione insulare con antiche tradizioni cui eravamo abituati a dar valore. Adesso? Non lo so. E’ solo quando si entra in una situazione estrema come questa che s’inizia a dubitare di tutto ciò che si credeva di sapere.

Qui in prigione, avevamo vissuto all’interno di un vuoto assoluto per due anni. Del mondo esterno, non sapevo nulla. La cosa più complicata che mi era capitato di fare di tanto in tanto è stata aprire una lattina di carne in scatola; adesso c’è qualcosa chiamato iWatch. Abbiamo iniziato a lavorare su questi video e, per la preparazione, mi è stato permesso di leggere il download delle notizie sulla guerra imminente in Iraq e Siria e sulla nostra situazione particolare. Più andavo avanti a leggere, più profondamente ne ero ferito. Ero così devastato nel leggere della mancanza di sostegno per le famiglie coinvolte nella nostra vicenda che ho voluto far sentire la mia voce sulla questione.

“Abbiamo dovuto trovare un modo per passare da soli attraverso tutto questo” ha detto Diane Foley ai giornalisti. Dopo aver guardato il discorso di Obama alla nazione, del 10 settembre, sono rimasto attonito per come i nomi dei miei amici morti sono stati usati per far rullare i tamburi di guerra, come sono stati utilizzati per incitare il pubblico a sostenere l’azione militare. Ho guardato la madre di Steven fare un appello televisivo allo Stato islamico di risparmiare suo figlio, dopo che il suo governo si è sottratto a qualsiasi dialogo con lei, e leggere come Diane Foley è stata minacciata di “finanziamento del terrorismo” mentre cercava di raccogliere fondi per il riscatto. Ho letto le email di madri che avevano scritto lettere al Presidente chiedendo aiuto, e di altri che avevano contattato direttamente la famiglia di uno dei prigionieri musulmani chiesti in cambio della nostra liberazione per vedere se c’era qualcosa che si poteva fare. Ho appreso del tentativo di salvataggio fallito, di come le nostre possibilità di sopravvivenza classificate così basse erano considerate l’opzione migliore possibile. “Le informazioni d’intelligence sono un po’ datate, ma non si può non fare una mossa [swing]” aveva dichiarato un portavoce. Era come se la nostra vita e la vita delle nostre famiglie fossero una partita di baseball.

Ed ecco il punto: se i nostri paesi avessero per lo meno parlato con i mujahidin, le nostre possibilità di sopravvivenza non sarebbero state per niente basse. Il dolore e l’indignazione di apprendere tutto questo è indescrivibile. Tutto quello su cui noi avevamo fondato la nostra convinzione era solo illusione. Fu in questo contesto che abbiamo girato i video e usato la mia voce per denunciare quello che avevo visto. Sono stato sorpreso da quello che avevo saputo, profondamente ferito, e mi sono reso conto d’esser stato dannatamente ingenuo. Che tutti lo eravamo stati.
Sapevo bene che non eravamo persone importanti, non eravamo in alcun modo speciali. Eravamo finiti in un buco nero e avevamo disperatamente bisogno di aiuto, e non riuscivo a capire come potevamo essere considerati solo una seccatura da due dei paesi più influenti del mondo quando tutti i leader europei si erano impegnati in trattative che avevano garantito il ritorno a casa della loro gente.

Avendo scelto di non negoziare, i nostri politici dovevano ben sapere che saremmo stati giustiziati, ma è stato deciso che, se il tentativo di salvataggio non avesse funzionato (ed era una scelta in extremis), allora sarebbe stato okay. Meglio che fossimo decapitati uno a uno piuttosto che parlare coi nostri carcerieri. Se questo è politica, è follia.

Non ho mai detto agli altri quello di cui venivo a conoscenza mentre erano ancora vivi. Ero stato spostato nella mia piccola cella e avevo scelto di rimanerci, quindi non sarei riuscito a parlare con loro in ogni caso. Trovo che gli stretti confini delle mura fermano la mente perché non vaghi troppo lontano, così posso concentrarmi di più, tenermi sotto controllo nella mia solitudine. Probabilmente era meglio per gli altri non sapere. Un angoscioso stillicidio li avrebbe solo riempiti di paura e rabbia. I mujahidin mi hanno gentilmente dato voce, qualcosa che gli altri non hanno mai avuto. Non so perché ho meritato un simile privilegio, ma mi piacerebbe utilizzare la possibilità per dire questo: per favore non permettete a queste morti di svanire silenziosamente nella notte – c’è più di quello che vi colpisce lo sguardo. Il pubblico non aveva voglia di una sequela di decapitazioni di loro connazionali nel 2014, quindi perché è stato permesso che accadesse tutto questo?
Lo Stato islamico non è un gruppo di guerriglieri o una gang. Ha 32.000 combattenti, tanks, sistemi missilistici, tribunali, una forza di polizia e controlla la seconda più grande città dell’Iraq. Sicuramente deve essere considerato abbastanza grande e abbastanza ponderoso perché qualsiasi politico ci possa discutere.

Alla mia cara moglie, ai miei amici nei media e alla mia famiglia: fate sapere ai nostri leader politici che non doveva andare in questo modo. Loro hanno il potere di cambiare le cose, se scelgono di farlo. Per ora, sono ancora vivo, ma a un certo punto nel prossimo futuro i mujahidin finiranno a corto di pazienza. Chiedete al nostro governo di parlare. Questo è tutto. Aprire un canale e negoziare con lo Stato islamico come gli altri hanno già fatto. Se non sarà possibile accordarsi, allora pazienza, ma non può compromettere la politica il fatto di aprire un dialogo.
La Morte non ha il potere di spaventarmi; ho vissuto sotto le sue ali per lungo tempo, ma se questa deve essere la mia destinazione finale, preferisco guardarla in faccia sapendo che è stata una lotta giusta e non una vuota capitolazione.

 

vedere ISIS, le domande che i media non (si) pongono

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