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Appena fuori la soglia

Da Marcofre

Nel film “Delitti e segreti” di Steven Soderbergh, il capoufficio (interpretato da Alec Guinness) consiglia al giovane scrittore Franz Kafka (Jeremy Irons) di praticare un poco di sport. Un ottimo film, a mio parere, ma non parlerò certo di pellicole cinematografiche.

Ho però ripensato a questa pellicola quando ho riletto una lettera di Scott Fitzgerald. In essa lo scrittore statunitense ricordava come a certi autori avesse giovato la formazione attraverso… un mestiere estraneo alla letteratura.
Ma come, si chiederà qualcuno: adesso leggere non serve più? Bisogna andare a zappare la terra, scaricare cassette di frutta e verdura ai mercati generali, praticare sport, darsi alla maratona e via discorrendo?

Sono persuaso che a certi autori farebbe senz’altro bene un po’ di movimento.
Poco dopo Scott Fitzgerald rincara la dose e aggiunge:

Ma la gente, di solito, non vive sulle spiagge e nei country club.

La vita “pratica” (vogliamo chiamarla così?), quella che si sviluppa attorno o dentro celle frigorifere, magazzini, supermercati e via discorrendo, ha il vantaggio di insegnare a vedere le cose. Come diavolo ci riesce? Senza voler scrivere una sorta di apologia del lavoro: quando hai dei capi che ti fiatano sul collo, perché sei responsabile di un reparto, o di una macchina da 60.000 Euro, impari in fretta a concentrarti sugli aspetti che contano.

Conta per esempio non far del male ai colleghi e a te stesso; fatturare merce, e lavorare per ridurre le scorte di magazzino, e via discorrendo. Quando sei lì al mattino, e fai scorrere il badge elettronico nel terminale, ti domandi cosa diavolo ci stai a fare. Però dopo qualche anno comprendi che serve, ti è servito, anche se non te ne rendevi affatto conto.

Quello che hai messo da parte è un punto di vista affinato dall’esperienza, dalle trippe (come si dice dalle mie parti) ricevute dai superiori. Si tratta di “mattoni” che possono servire per costruire una carriera all’interno di un’organizzazione, ma anche in settori ben differenti.

Quello che avremo sarà un punto di vista diverso. I sensi tutti (non solo l’occhio), avranno imparato un mucchio di lezioni alcune delle quali dispiegheranno tutto il loro valore, la loro energia, tempo dopo, quando saranno sollecitati nella giusta maniera.

L’aspetto che sorprende in certe narrazioni, è l’abbondanza delle spiagge e dei country club (intendo dire: la dissoluzione del mondo del lavoro), e la mancanza di un punto di vista. Esiste un generico abbraccio che viene propinato come stile inconfondibile dell’autore.

Purtroppo credo che l’abbraccio non sia sinonimo di stile, o di voce personale di un autore; ma la prova che non c’è punto di vista. Per questo si abbraccia: per nascondere un vuoto, per mascherare la completa incapacità di scegliere, studiare e scrivere nella maniera più efficace possibile.

Piccola digressione. Nel romanzo ottocentesco, non c’è nessuno che lavori, avete notato?
I personaggi di Tolstoj entrano ed escono da residenze dove il massimo dell’attività è prendere il tè. Quelli di Dickens corrono, salgono e scendono da carrozze, entrano o si precipitano fuori da dimore a volte umili, a volte sfarzose.

Con Dostoevskij le cose migliorano: “Il sosia” ci introduce nell’ambiente della burocrazia russa. In pratica, si spostano pile di carte, e poco altro.

Però accidenti, esisteva eccome uno stile! Forse perché questi autori si erano calati nel pozzo nero della vita. Tolstoj aveva partecipato alla guerra in Crimea; non è terribile che una carneficina possa servire a formare una persona?
Dostoevskij era finito di fronte al plotone di esecuzione e un simpatico ufficiale aveva organizzato una finta fucilazione; per farsi quattro sane risate.

Dickens da bambino fu trascinato in prigione per i debiti contratti dal padre.

Se sopravvivi a queste esperienze, ne subisci anche il marchio. In un certo senso vieni “educato” e anni dopo ti saranno utili. Ti avranno consegnato una specie di “chiave di interpretazione”, capace di aprire porte dove tutti vedono solo pareti vuote.
In conclusione: la narrativa non vive di emozioni, ma di efficacia e valore. E la scuola migliore è da qualche parte appena fuori la soglia di casa.


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