Andrea Zanzotto (1921-2011), nativo di Pieve di Soligo (TV) è uno dei poeti più significativi del Novecento. Di lui si è parlato a proposito del volume riedito da Einaudi Filò per il Casanova di Fellini e del libro In questo progresso scorsoio . Inoltre ne avevamo accennato nell’articolo I diciassette haiku di Borges e altre storie .
Perché è importante conoscerlo, leggerlo, ricordarlo?
Intanto perché il testo poetico parla da sé, da esso si trae l’insegnamento sulle cose, sul modo di esprimerle. I primi quattro libri di versi (Dietro il paesaggio, Elegia e altri versi, Vocativo, Ecloghe) sono un vero e proprio apprendistato verso la bellezza (La Beltà, quinta raccolta), come afferma la studiosa Beverly Allen (1). Zanzotto fa poesia quando il mestiere del poeta è problematico e stemperato.
Già nel componimento di apertura de Dietro il paesaggio, Arse il motore, lo troviamo in macchina, non a piedi, non immediatamente di fronte all’oggetto poetico, il paesaggio. La poesia è datata 1951, a pochi anni dalla fine della seconda guerra mondiale. In essa si manifesta il tormento di un’anima da risanare, da cui l’importanza di interrogarsi sul luogo, sul tempo nei quali si trova. Già qui scopre il terribile fluire della storia che esige parole nuove per raccontare ciò che è scomparso. Il poeta si pone non dentro il paesaggio o il linguaggio, ma dietro di essi, per tirare le fila di universi in dissolvimento. Si pone nella condizione di non ricacciare indietro le loro tracce, di non voltare le spalle, rinunciando a recuperare un insieme di traguardi mancati o perduti.
Dal paesaggio di Pieve di Soligo in particolare emerge una coscienza definita, un io personificato e non di maniera, il quale si pone in un presente che percepisce il peso e l’eredità del passato, proiettandosi verso il futuro causa di angoscia profonda. Tra un passato (perduto) e un futuro (ignoto) vi è, ricordando s. Agostino, un presente di cose passate, un presente di cose presenti, un presente di cose future. Di fatto eterno.
Non va sottovalutata la distanza temporale. Se il passato rimpianto e cantato ne Dietro il paesaggio poteva dirsi prossimo (gli anni Cinquanta che interrogano gli anni Venti), ora si è fatto remoto. E anche gli anni Sessanta, Settanta, Ottanta, di là da venire, si sono dissolti e confusi nel medesimo passato. Il passato prossimo e il passato remoto, lungi dall’essere puri tempi verbali, rappresentano linee di confine che continuamente si spostano, sbaragliando quanto ancora si può vedere, testimoniare, scrivere. Il presente di chi legge non è più il presente di chi scriveva quei versi. Tra chi legge e scrive non c’è corrispondenza tra passati, anche per via di quel progresso incessante che, nodo scorsoio, trancia di netto tutto il resto. E ora, a quasi due anni dalla scomparsa, è venuta meno persino la contemporaneità. A rimanere sono le poesie, anche se spenta è la voce.
Ebbene, la Regione Veneto ha organizzato il concorso “Fiori di parole in musica – omaggio delle giovani generazioni a un grande poeta veneto”. L’evento si è tenuto a Padova al Gran teatro Geox il 18 maggio 2013. Tra i dodici finalisti in gara si è esibito Fabio Masutti, che ha musicato “Stereo”, un componimento di Zanzotto presente nella raccolta Sovrimpressioni (2011), classificandosi al 5° posto. A ottobre i partecipanti registreranno in studio i brani finalisti. Il disco verrà distribuito in tutta Italia. A dicembre è previsto un concerto nel quale Fabio Masutti suonerà “Stereo” con la I orchestra.ritmico sinfonica italiana.
Fabio Masutti di sé scrive:
Suono abbastanza male la chitarra e il pianoforte, un po’ meglio il basso, canto discretamente e scrivo, il tutto da circa 20 anni in più formazioni rock indipendenti della provincia di Treviso con le quali ho fatto 3 dischi e mezzo e circa un migliaio di concerti in oltre 15 anni. Ora scrivo e suono di me stesso. Attualmente canto e suono il basso con:
PATRIOTS,
LE IENE R’n'R,
MANITOU.
Su youtube si può ascoltare il suo primo brano da solista, il giudizio di Dio .
L’abbiamo incontrato per Scrittevolmente, raccogliendo le sue considerazioni.
1. Di recente hai partecipato al concorso “Fiori di parole in musica” promosso dalla Regione Veneto, dove hai musicato “Stereo”, una poesia di Zanzotto. Che rapporto c’è tra questo componimento e “Il giudizio di Dio”, il tuo primo brano da solista?
Sono 2 brani molto diversi sia musicalmente sia nel testo (ovviamente la mia scrittura neanche lontanamente si avvicina alla poetica di Zanzotto) ma sono entrambe opere che si rivolgono a entità superiori: la natura potente e inarrestabile incurante delle vicissitudini umane e un dio più o meno grottesco che dovrebbe rispondere a tutte le richieste delle creature mortali così come vogliono le credenze popolari.
2. Cosa aggiunge la musica a una poesia come “Stereo”?
Zanzotto è sempre stato contrario alla messa in musica di testi poetici perché sosteneva l’idea di una melodia intrinseca del verso poetico. Io non ho voluto creare un’atmosfera di sottofondo diversa o complementare al testo, bensì ho cercato di tradurre i suoni precisi della natura. Un po’ come in “Pierino e il lupo” di Prokofiev dove ogni personaggio è rappresentato da uno strumento in “Stereo” il synth è il lampo, la batteria è il tuono, il basso è la pioggia, la chitarra il vento. Inoltre l’idea di fondere assieme le due parti di testo (italiano e dialetto) spinge la sperimentazione di Zanzotto sul segno, sul significante a un livello nuovo in cui i versi delle due parti della poesia quasi sovrappongono e si fondono creando un linguaggio ibrido sia di significante che di significato.
3. Chi è Fabio Masutti, lettore di Zanzotto?
Uno studente dell’ultimo anno di ragioneria che incontra Zanzotto in una sua conferenza su Montale. Un ragazzo amante della musica e affascinato dalla poesia che allo stesso tempo però un po’ teme e fatica ad approcciare…
4. C’è un messaggio particolare che ti ha colpito del poeta di Pieve di Soligo? L’hai mai incontrato di persona, magari passeggiando per la tua città?
Il messaggio è che il profilo umano è assolutamente staccato dal profilo artistico di una persona, quando parlava di Montale si soffermava spesso su particolari comici sottolineando l’ironia della persona quasi a disconoscere l’immaginario “leopardiano” dell’autore impegnato in conflitto con il mondo e con l’esistenza. L’ho incontrato più volte avvolto nel suo pastrano mentre girava per Pieve di Soligo anche nelle giornate più grigie e fredde. La differenza tra un adolescente come me (al tempo) e un artista come Zanzotto era sicuramente lo sguardo. Il mio frettoloso e annoiato, il suo curioso e attento quasi avido nell’immagazzinare immagini della sua amata città.
5. Cosa rimane dei suoi versi che cantano e celebrano i paesaggi della tua città, Pieve di Soligo?
Rimane senz’altro la sua ultima battaglia contro il palazzetto dello sport che avrebbe deturpato il panorama alterando gli equilibri del paesaggio di Pieve, ironia della sorte ora che il più autorevole sabotatore se ne è andato pare che sia nei programmi la realizzazione dell’opera per il 2017…
Rimane anche il rimpianto di non aver celebrato con la dovuta misura lo spessore di un autore criptico ma rivoluzionario e rimane l’amore immenso per un paesaggio ostaggio dello sviluppo e spesso vittima dell’indifferenza.
6. Se ne avessi la possibilità quale altro componimento di Zanzotto tradurresti in musica?
Sicuramente “Al Mondo” con non poche difficoltà di riadattamento. Lo considero uno dei suoi componimenti tra i più vicini al mio sentire poetico e di autore. Nel mio prossimo lavoro discografico, il primo da solista, a cui sto lavorando da alcuni mesi e che spero verrà alla luce per la prossima primavera, saranno presenti delle citazioni di Zanzotto e altri poeti veneti.
Nota:
(1) Beverly Allen, Verso la Beltà, gli esordi della poesia di Andrea Zanzotto, Corbo e Fiori Editori, Venezia 1987