Magazine Cultura

appunti a quattro mani anche su John Keats

Creato il 28 novembre 2013 da Vivianascarinci

La concezione, pur vaga, che ho delle mie poesie future mi fa spesso montare il sangue alla testa. Ma ciò che più spero è di non smarrire ogni interesse per le cose degli uomini; spero che l’indifferenza che provo verso l’applauso, non ottunda quella visione che posso avere. J. Keats

(…)

viviana: “forse l’impotenza ora sta più nella scrittura a viso aperto quindi giocoforza, per quanto onesta, l’impotenza è della scrittura che si articola direttamente intorno a una qualche ideologia ponendoci le parole in modo ottuso, cioè doverosamente. Giustissimo il Vittorini che citi a riguardo Non proviamo più soddisfazione a compiere il nostro dovere, i nostri doveri… Compierli ci è indifferente. Restiamo male lo stesso. E io credo che sia proprio per questo… Perché sono doveri troppo vecchi, troppo vecchi e divenuti troppo facili, senza più significato per la coscienza. Cos’è che rende, ci rende, impotenti nell’esercizio di un dovere e rende quel dovere a sua volta inefficace? E l’impotenza sta anche in quella scrittura poetica che muta intrinsecamente all’ascolto che fa del mondo “reale” con troppa consapevolezza di fare ciò. Questa rischia di essere bella, descrittiva e fine a se stessa, almeno quanto quella che imita l’incomprensibilità delle cose ricalcandola linguisticamente. Alla fine si tratta di poesia ugualmente impotente, mentre mi rifiuto di credere la parola poetica impotente. Già scriverlo mi sembra una contraddizione in termini. Il mistero di Calogero sta nell’attualità della sua forza politica in quanto potenza conoscitiva, agrimensura volta a una radicalità metafisica e gnoseologia dei semi da cui il mondo cresce come fenomeno imperscrutabile. Forse davvero tutto verte sulla misura di un’incertezza troppo consapevole, e perciò un po’ compiaciuta, riguardo le potenzialità della poesia in quanto strumento di intervento sul reale. Questo non era il punto per Calogero, credo. Ma lo era ad esempio per Keats, poeti straordinari entrambi ma Keats davvero in bilico, perché ce lo teneva sia la morte, che aveva visto sopraggiungergli da giovanissimo, che l’amore per Fanny, come fossero esattamente l’espressione di un’incertezza così realistica da essere per assunto il contrario di qualsiasi ridondanza, insomma in bilico su un incertezza esistenziale che non poteva starsene al caldo di nessuna consapevolezza. Nadia Fusini tocca la questione veramente al cuore quando introducendo le lettere di Keats a Fanny scrive Quale più invincibile agente di separazione si può immaginare, se non la morte? Il moribondo Keats guarda la viva Fanny con invidia, con nostalgia, e mentre la contempla e la desidera cresce il proprio senso di sventura, di miseria come può immaginare il moribondo di conquistare la viva, la vita? E anche particolarmente emblematica la reazione della critica dopo la prima uscita editoriale di queste lettere, avvenuta qualche anno dopo la morte di Keats ad opera di uno dei figli di Fanny. Curioso che per molti critici del tempo quelle lettere avrebbero dovuto essere bruciate invece che pubblicate, curioso che per quanto Keats fosse già un poeta acclamato la veridicità di questa circostanza renda a pieno tutta l’amarezza del fraintendimento rispetto alla realistica potenza poetica del bilico su cui si è retto Keats per il tempo che ha potuto”

paolo: “io credo che ogni poeta abbia (senta, sa, strutturalmente) in ogni momento della sua vita la percezione della sua opera tutta e della sua vita. che la ramificazione nata da un punto d’origine senza inizio si dispieghi poi in ogni lato, passo, sguardo della sua vita. nulla gli è inutile e nulla gli è di più. tutto è dato e tutto è preso. ma credo anche che la conoscenza è nella scrittura poetica. proprio nell’atto stesso della scrittura. non prima e non dopo. ciò che noi siamo e non siamo è lì, in quel gesto. come il pittore che usa il pennello sulla tela o il pianista che batte i tasti. in poesia, il gesto viene sempre percepito male. si dà sempre poca importanza al gesto fisico dello scrivere, come se fosse un accessorio a un pensiero già pensato e poi trascritto. invece, se noi abbiamo una conoscenza è in quel gesto dello scrivere. perché è lì che si dà forma a ogni altro nostro gesto. Fanny: perché si ambisce a una donna che non si può avere? la nostra storia nasce da lì: Beatrice, Laura, Kafka, Keats ecc. perché la donna non avuta è la donna-bambina, è quella che ci permettere di non essere parte del mondo. l’amore in un poeta non è mai una visione di gioia e desiderio. è sempre una perdita, ma è questo che uno nel fondo del cuore vuole. è come a dire “ci siamo incontrati perché non potevamo non perderci”

(…)

0.000000 0.000000

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Dossier Paperblog

Magazines