Magazine Cinema
Avrei voluto intitolare questo post "Cinema Horror, storia di un genere" o simili. Ma alla fine ho pensato fosse troppo banale, e ho preferito avviare il discorso in un modo più diretto e d'effetto. Almeno, spero ci sia, quest'effetto.
Chi ha avuto a che fare almeno una volta nella propria vita, con un tale Freddy Krueger, sa, di cosa stiamo parlando. Addentrarsi nel cinema dell'orrore non è certo una cosa semplice, soprattutto se consideriamo il fatto che, chi scrive, ha da sempre un rapporto molto complicato col genere. Credo per certi aspetti dell'Arte, bisogna essere predisposti, preparati, trovare al momento giusto l'occhio non solamente critico, ma anche allucinato e lascivo (perché no?). Se così non fosse è chiaro che non comprenderemmo mai, per fare un esempio, la scelta di mettere in scena un gruppetto di teenagers che vengono allegramente sfracellati da uno psicopatico pluriomicida. Bisogna essere un bel po' distanti dalla realtà e da tutto ciò che fino a ieri, abbiamo considerato come legge dell'universo e della vita. Se pensi che tutto sia inverosimile e inaccettabile, non potrai mai comprendere alcuni aspetti della vita, soprattutto se parliamo di Arte. Soprattutto se parliamo di Cinema.
Proprio poco tempo fa, vedendo Pietà di Kim Ki-duk, ragionavo su quanto sia cambiato l'interesse del pubblico negli ultimi anni. Su quanto più tollerabile sia diventato il pudore visivo di chi guarda, di come gli occhi a un certo punto non si stupiscano più di vedere la violenza in carne ed ossa, su quel grande schermo. Penso a come un tempo un solo Dracula o un solo Frankenstein sapevano lasciare il segno; ne sono passati di anni da quel Nosferatu il vampiro di Murnau (1922). Dall'espressionismo tedesco, anche gli americani iniziano a prendere spunto, negli anni '30, alcuni attori addirittura si dedicano esclusivamente a ruoli da horror, due su tutti Bela Lugosi e Boris Karloff. Creature spaventose, spesso trapiantate dalle pagine della Letteratura. Mostri, ombre sui muri, mummie e scienziati pazzi. Sarà così fino agli anni '50, quando le innovazioni tecnologiche cambieranno radicalmente anche il cinema, con il 3D. Cambia il modo di realizzare i film horror, e cambia la reazione dello spettatore, il quale viene messo in una condizione tale da credere di vivere davvero, quelle storie spaventose. Entrano in scena gli alieni, il genere si colora di Fantascienza (L'invasione degli Ultracorpi di Don Siegel, 1956).
Strano pensare che questo genere non c'entri nulla con me, eppure mi incuriosisce la sua storia, la sua evoluzione. Pensare che proprio verso gli anni '60 poi, qualcosa di significativo avviene, ed è esattamente qui che, a mio avviso, si verifica uno dei fatti più interessanti della storia dell'horror. Dai mostri extra-ordinari, si passa ai mostri capaci di confondersi con la gente; mostri che si camuffano vestiti da uomini e donne (sì, anche quelli di Maria De Filippi), quelli che ti mettono addosso l'ansia di essere perennemente in pericolo. I film horror non sono più così inverosimili e assurdi, perché iniziano a riflettere ciò che siamo, la nostra società e il nostro inconfessabile male. Ecco allora che si comincia a parlare di "horror psicologico", un certo Alfred Hitchcock rinnova completamente il genere, con Psyco (1960), nasce l'effetto suspense e la psicologia nel cinema viene approfondita, toccandone ogni ramo. In quegli anni vede la luce anche un horror tra i più influenti di quella decade, La notte dei morti viventi di George A. Romero.
Qualcuno potrebbe dire, "e in Italia?". Beh, negli anni '70 avevamo, in teoria c'è ancora ma non cinematograficamente parlando (purtroppo), un regista che con i primi tre film (L'uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code e 4 mosche di velluto grigio) si guadagnò la nomina dell'Hitchcock italiano. Davvero notevole il suo periodo d'oro, poi però qualcosa è andato spegnendosi e ricorderei oltre alla trilogia zoologica, quello che è stato riconosciuto all'unisono, come il capolavoro di Dario Argento, Profondo rosso. Senza dimenticare ovviamente, papà Mario Bava, dal quale un po' tutti hanno imparato. Italiani e non.
Da questa parentesi italiana, sempre negli anni '70 esplode la mania del diavolo e dell'occulto. Il pubblico sembra aver assimilato questo genere tanto da permettere ai B-movie di diventare poi A-movie, innalzando sempre di più la dignità del genere. Significativi sotto la scia satanica, di donne e bambini impossessati dal demonio, ricordiamo Rosemary's baby di Roman Polanski e L'esorcista di William Friedkin. E in questa decade, giusto per limitare il numero di film che dimenticherò (non conoscerò nemmeno, dimenticherò di proposito, non posso stare dodici ore al pc, è tardi) rientrano altri tra i più significativi come L'ultima casa a sinistra di Wes Craven (1972), Non aprite quella porta di Tobe Hooper (1974), Il demone sotto la pelle (1975) di David Cronenberg, Carrie di Brian De Palma (1976) e chiuderei con Halloween - La notte delle streghe di John Carpenter (1978).
Gli anni '80, in un mio personale excursus del genere, sono gli anni di Freddy Krueger, e si poteva intuire dal titolo del post. Nightmare - Dal profondo della notte ha avuto un tale impatto nella mia (e credo anche in quella di molti di voi) adolescenza, da farmi credere alla storia dei "piedi scoperti nel letto = morte" e viceversa, "piedi coperti = così il mostro non mi può prendere". Incredibile. Accanto al volto di Freddy, appaiono quelli di Michael Myers e Jason Voorhees. Degli anni '80 è anche quello che molti, me compresa, considerano il capolavoro per antonomasia, parlando di horror psicologico, diciamo che Kubrick con il suo Shining abbia realizzato un almanacco vivente.
Saltando agli anni '90, che dire, io darei la colpa di tutti i miei più grandi incubi a Pennywise. Quel che fece Tommy Lee Wallace nel 1990, portando sullo schermo uno dei più riusciti romanzi di Stephen King, è a dir poco spietato. It rimane ancora oggi, per me, il peggiore/migliore film horror che si potesse realizzare. Io l'ho sempre visto come una sorta di Goonies dell'orrore. Perché c'erano questi ragazzini, c'era l'avventura e quell'ingenuità tipica dei bambini. Questo mostro, indefinito in realtà, perché non era chiara la sua vera identità, le sue vere origini, sapeva incarnare con un'immagine sola, la paura come non si è mai presentata prima. Dei palloncini rossi, una barchetta di carta e l'ingenuità di un bambino sprovveduto che non bada nemmeno all'aspetto inquietante di un clown piuttosto insolito. Non riesce a cogliere la diversità, quello che i grandi di solito (dicono) sanno fare. Ma nel film saranno proprio i bambini, i soli a conoscere Pennywise, mentre i grandi continuano ad ignorarlo. Un pagliaccio in tutina gialla che si diverte a uccidere bambini. Esiste qualcosa di più schifosamente raccapricciante? No.
Io non saprei davvero come continuare, dopo It per me l'horror ha iniziato a svanire, dissolvendosi completamente, o quasi, del tutto. In questo nuovo millennio però, si continuano a fare tanti film horror. Vedo e avverto in giro, soprattutto tra amici e colleghi che c'è un certo bisogno, seppur nascosto (almeno il mio è proprio offuscato), di splatter e talvolta anche di un pizzico di trash. Sono termini che ricorrono di frequente, nel mondo che abito e che frequento quasi più spesso di quello reale. Chi ama il cinema, di questo ormai sono certa, ama confrontarsi con tutto ciò che lo schermo propone. Che sia una commedia demenziale, zuccherosa, un dramma da lametta a portata di mano o un'Armata delle tenebre qualsiasi.
"Sì, ma cerca di essere più chiara, si è fatta una certa ora, tutto questo polpettone megagalattico per dire che cosa?" Che un genere può non piacerci, perché non lo capiamo o semplicemente non riusciamo ad andargli incontro (a me capita questo), ma perfino in ciò che non ci piace, il cinema, sa farci avventurare. Guardate me, è una vita che dico che gli horror mi fanno schifo e non andrei in sala nemmeno incatenata, ed eccomi qua. L'una di notte, al pc, a scrivere un logorroico special, sul cinema dell'orrore...
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