Magazine Diario personale

Arà

Da Pkiara

"Arà com'è?""Arà picciutti finitaccilla""Arà sbrigamini"Cos'hanno in comune le tre frasi sopra? La parola "arà" che, se a un orecchio non siciliano può significare poco, a uno avvezzo al dialetto della trinacria dirà, invece, molte cose. Perché "Arà" è tante, troppe cose. E' "dai, su, forza", è intercalare senza senso, è parola detta con nervosismo, quando le cose non vanno come vorresti. Arà e hai detto tutto e tutti hanno capito.Ma c'è un caso, un solo caso, in cui "arà" non è sopportabile: quando è pronunciato prima del nome della persona, per salutarlo o richiamarne l'attenzione. Per esempio: "Arà Chiara, comu ta passi?" o, peggio ancora, come il messaggio di auguri che ho appena letto sulla bacheca di Facebook di un mio amico "Arà G., buon compleanno, mi raccumannu". Ma arà cosa? E mi raccumannu a cui e pirchì?

 


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