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Archeologia del patriarcato

Da Femminileplurale

Femminile Plurale inaugura questa nuova pagina, Archeologia del patriarcato, con l’intento di fornire contributi e ricerche relativi alle donne nella storia. Ciò è motivato da due presupposti che si sono rivelati imprescindibili per noi e per il nostro impegno/agire politico: in primo luogo la consapevolezza/intuizione che nella maggior parte dei casi il consolidamento stesso delle strutture patriarcali le ha rese tanto nascoste da aver reso difficile e tortuosa la loro individuazione, se non a fronte di un’attenta analisi storiografica e di un puntuale approfondimento filosofico.

Da qui deriva anche la scelta del titolo della pagina.

Il secondo presupposto deriva dagli avvenimenti e dagli eventi a cui abbiamo partecipato nell’ultimo periodo, che ci hanno convinte della necessità che il femminismo tragga la sua forza anche dalla storia e dalla memoria di pratiche e linguaggi condivisi e storia di avvenimenti, eventi e donne dimenticati. Il desiderio è di costituire in primis una storia/memoria di donne attraverso la riscoperta delle donne nella storia, al fine colmare il vuoto, non solo storiografico, che la storia degli uomini ci ha lasciato. Il lavoro di scavo e approfondimento lungo queste tracce ci restituisce il senso del nostro agire e del nostro essere ed è una parte che riteniamo indispensabile per la costruzione e per il raggiungimento della nostra libertà, nella misura in cui essa è fondata non solo su una presa di coscienza personale e individuale ma anche sulla conoscenza complessiva di storie, persone, momenti. 

Siamo consapevoli che la nostra forza intellettuale e politica non possa che venire arricchita dalla riconsiderazione del nostro passato “femminista”. Non vogliamo cominciare da capo, non cerchiamo nuovi inizi, ma vogliamo procedere a partire anche da una memoria condivisa che ci dia strumenti, idee ed esperienze per costruire il futuro. 

Archeologia del patriarcato – Capitolo 1

La 194 vittoria del femminismo: un falso storico

Espresso 3 (XXI) 19 gennaio 1975

Vogliamo inaugurare questa nuova pagina con un post ispirato da una scena che ci ha colpito molto durante la plenaria conclusiva di Paestum, domenica mattina. A dire il vero, è successo tutto in maniera per noi inaspettata e quindi senza che fossimo perfettamente presenti alle dinamiche in atto. Ma anche al prezzo di sacrificare la puntualità nel riportare citazioni, nomi e fatti, abbiamo comunque scelto di scriverne per cogliere e riferire un esplicito invito che ci è stato rivolto nella concitazione di quei momenti da alcune “femministe della vecchia guardia”: quello di approfondire maggiormente la storia del femminismo e di conoscerne in maniera precisa le tappe giuridiche fondamentali.

Allora, la scena è stata la seguente. È più o meno metà mattinata e la donna che in quel momento ha in mano il microfono sta sottolineando l’urgenza con la quale una parte di giovani femministe (a partire da noi di Femminile Plurale) ha chiesto all’intero movimento di farsi carico della situazione del precariato, come fattore determinante e vincolante nella vita di molte di noi. A un certo punto, la donna si rivolge “alle storiche” chiedendo che abbraccino l’istanza delle precarie, nel nome delle rivoluzioni portate avanti: «Voi che avete combattuto e vinto le battaglie in favore della 194 e del divorzio, portate avanti anche la battaglia contro il precariato come vi chiedono queste giovani donne».

È a questo punto che una delle donne seduta a metà platea dà letteralmente in escandescenza, gridando che è ora di finirla di dire sciocchezza e che non sono certo state le femministe a volere né la legge sull’aborto né quella sul divorzio. La donna si alza dal suo posto letteralmente furibonda raccogliendo le sue cose, con la chiara intenzione di abbandonare l’assemblea. A nulla valgono i tentativi delle sue compagne di calmarla e di far sì che rimanga.

Incuriosite usciamo anche noi dalla sala per cercare di capire cosa abbia potuto innescare un tale scatto d’ira. Lei se n’è già andata, come una furia, allora chiediamo lumi ad alcune compagne con le quali siamo riuscite a vederla assieme, prima che lasciasse l’incontro.

«Il fatto è» ci spiegano «che certo non sono state le femministe a battersi per la 194. Noi chiedevamo semplicemente una legge sulla depenalizzazione del reato».

Ma come?!, ci domandiamo noi, cresciute nel mito della lotta per l’aborto come la trincea di prima linea del movimento. D’altronde basta googlare “legge aborto/vittoria femminismo” per generare pagine e pagine di risultati. Nel portale Novecento Italiano ad esempio, pure riconoscendo che «…per molte femministe la fredda sanzione legislativa di un’esperienza individuale di dolore non poteva costituire un momento di “liberazione” per le donne», si definisce l’approvazione della 194 come una «vittoria del femminismo», dopo aver affermato che «La lotta per l’aborto venne fatta propria dall’UDI e dalla gran parte dei gruppi femministi». Anche Il Salvagente, in un articolo del 2010 scritto proprio in occasione del trentatreesimo compleanno della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, la definisce una «legge-conquista del movimento femminista».

Lucrari Claudiu Candea

A Paestum invece impariamo un’altra verità: lottare per il provvedimento sarebbe equivalso a chiedere che lo Stato legiferasse sul corpo delle donne. Lo spiega con estrema chiarezza in un articolo su Liberazione, pubblicato il 21 maggio 2008, la giornalista femminista Angela Azzaro, affermando – come abbiamo sentito a Paestum – che la maggior parte delle donne femministe si batteva non per una legge ma per la depenalizzazione.

«…una legge avrebbe significato che lo Stato metteva bocca sul corpo delle donne. Così è stato, anche perché alcuni degli articoli del testo aprono di fatto all’obiezione di coscienza da una parte e dall’altra alle varie interpretazioni su quanto e come inizia la vita».

In questo pezzo Azzaro spiega come anche chi difende la legge non abbia compreso la cosa più importante, ossia che occorre «mettere in discussione se stessi (sessualità, relazione) e la propria cultura politica». È necessario, secondo lei, un nuovo terreno di dibattito che sia scevro dal dogma che definisce “vita” anche ciò che prescinde dalle relazioni. Questo dogma starebbe infatti alla base dell’intima convinzione, condivisa anche da numerose donne che si battono per la 194, che l’aborto in fin dei conti sia un omicidio, per quanto necessario: «Ristabilire oggi che cosa è vita e che cosa non lo è – scrive Azzaro – ristabilire il confine fra lo Stato e la libertà di scelta, significa capire quanto nella politica contino non solo le questioni astratte, ma i corpi, le storie, le relazioni».

Sempre nel 2008 anche Lea Melandri nel suo saggio “Il corpo, la legge e le pratiche politiche del femminismo” cita “Lessico politico delle donne: teorie del femminismo”, libro in cui, alla voce “aborto” si parla della differenza fra la battaglia per l’aborto condotta nelle aule parlamentari e il dibattito all’interno del movimento delle donne che ha continuato a svilupparsi, in maniera separata, altrove:

«Mentre i laici e i cattolici contrapposti portavano avanti la battaglia per l’aborto a livello parlamentare, il Movimento delle donne ha continuato separatamente il suo dibattito. Schematizzando si possono individuare due posizioni di fondo: una che ha visto nella formulazione di una legge che legalizzasse e rendesse assistito e gratuito l’aborto, la conquista di un diritto civile e il riconoscimento sociale dei diritti e della forza delle donne; l’altra posizione non ha ritenuto invece utile per le donne una riforma sociale, come è una normativa dell’aborto, attuata da un sistema che non comprende le donne e in cui le donne non hanno diritto di espressione. Non si è voluto soprattutto affermare il “diritto civile” a subire la violenza dell’aborto. Rimanere incinte senza desiderarlo o essere costrette ad abortire anche se si desidera un figlio, provoca nelle donne conflitti e situazioni tali che nessuna legge può pensare di regolare, sistematizzare o risolvere. Per questo si è chiesta semplicemente l’abolizione del reato di aborto, la depenalizzazione… Il rapporto con la maternità e la riproduzione e quindi in negativo anche quello con l’aborto, si può chiarire solo attraverso la ricerca di una sessualità non segnata dall’uomo, affrontando l’analisi del rapporto uomo-donna, comprendendo i motivi e le dinamiche per cui si resta incinte, pur dovendo poi abortire».


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