“Il luogo comune secondo cui i liberi professionisti rientrano tra i maggiori evasori fiscali non corrisponde al vero: le statistiche più recenti dimostrano invece che gli Architetti sono tra i contribuenti più fedeli del fisco”. A dirlo, in apertura dei lavori del convegno del 4 aprile scorso a Catania sul cambio dei criteri di accertamento fiscale per i lavoratori autonomi, è stato Giuseppe Scannella, presidente dell’Ordine degli Architetti della Provincia etnea.
Il convegno si è concentrato sui nuovi studi di settore condotti dall’Agenzia delle Entrate in sinergia con le categorie professionali. In sostanza: Provincia che vai, Tariffa che trovi.
Infatti, i liberi professionisti dovranno determinare i loro compensi a seconda del contesto territoriale in cui operano. In altre parole, l’architetto che lavora su Catania deciderà le tariffe su una base economica differente rispetto a Palermo, Siracusa o Messina, così come definito dalla Nota Tecnica e Metodologica relativa allo Studio di Settore WK18U, consultabile sul sito web dell’Agenzia.
Gli studi di settore – le analisi economiche condotte per rilevare i parametri fondamentali di liberi professionisti, lavoratori autonomi e imprese – sono stati al centro della discussione, dalla quale è emerso con forza un dato di fatto che, finalmente, fa chiarezza sulla convinzione che i liberi professionisti siano i Principi dell’Evasione Fiscale. Non è così: su 56mila dichiarazioni dei redditi presentate dai colleghi italiani nel 2013, ha detto ancora Scannella, è risultato congruo il 92%.
In passato la logica di accertamento che ha guidato l’Agenzia delle Entrate era, semplificando, “Più spendi, più guadagni” – ha affermato il presidente del centro Studi del CNAPP, Pisciotta – si verificava cioè se i costi sostenuti e indicati nella contabilità fossero o meno attinenti alla sfera personale del professionista. Constatato che il risultato spesso non era oggettivo, si è manifestata la necessità di rendere l’operazione più aderente all’attuale mercato professionale. Abbiamo elaborato dunque un “modello a prestazioni”, chiamato così perché confronta i compensi mediamente dichiarati dal singolo professionista per ogni prestazione, con importi minimi provinciali.
In altre parole – ha aggiunto Pisciotta – se il professionista dichiara una parcella il cui importo è inferiore ai limiti indicati, ciò segnala una anomalia, e dunque scatta il controllo dell’Agenzia delle Entrate. Più le singole prestazioni sono congrue ai minimi prefissati maggiore è la tutela del professionista.
La definizione provinciale dei parametri li rende più aderenti al contesto territoriale in cui il professionista opera. Inoltre questo modello introduce per la prima volta il principio di “non contabilizzazione” di quelle prestazioni eseguite e concluse, i cui compensi non stati ancora incassati.
Nel Modello Unico – ha concluso Pisciotta – il lavoratore sarà obbligato a indicare il numero esatto delle prestazioni effettuate ed incassate e l’importo dei compensi percepiti, e non più come in precedenza solo le somme totali. Il monitoraggio sarà quindi più preciso e più efficace ai fini delle riduzione dell’evasione fiscale.