Questa mattina, appena messo il piede fuori alla porta, ho guardato il cielo come faccio di solito e ho visto uno splendido arcobaleno. Ormai è diventato un evento comune in queste giornate fatte di sole, acqua e nuvole stravaganti, ma vedermelo davanti, come primo incontro del mattino, mi ha rallegrato.
E sono rimasta lì, con il naso per aria a cercare di capire quanti colori si riuscissero a percepire.
Come sempre ho cercato di contare bene, poi ,i soliti dubbi: indaco e blu? 7 o 6 i veri colori dell’arcobaleno ? Sette come le note musicali o sei come … niente? e perché i greci ne vedevano tre? Nell’ arco di un nano secondo mi sono venuti in mente, contemporaneamente, Aristotele, Newton, Goethe e una filastrocca per bambini.
Probabilmente sarei stata lì fino alla scomparsa dell’arco o la comparsa di un clamoroso torcicollo se non fossi dovuta correre a prendere il solito treno. Naturalmente non ho rinunciato a fotografare l’inaspettato arcobaleno mattutino e adesso è qua, racchiuso nel mio Ipad. Una mia amica curiosa mi ha chiesto cosa me ne facessi di un arcobaleno nella macchina fotografica, se l’avessi catturato per me o per condividerlo con altri. Per un attimo ho pensato che quello era il mio arcobaleno, “ Solo per i miei occhi” per dirla alla James Bond, poi ho pensato che non potevo accampare alcun diritto di proprietà su quel meraviglioso gioco di colori e quindi eccolo qui.
Improvvisamente, poi, mi è venuta voglia di parlare a ruota libera di arcobaleni e così farò.
Un salto indietro di millenni ed eccomi a guardare Iris in compagnia di Aristotele. Questo incredibile pensatore fu probabilmente il primo a cercare di spiegare il fenomeno arrivando a queste conclusioni: l’arcobaleno è un particolare tipo di riflessione della luce del sole da parte delle nubi.
Per spiegarne la forma circolare Aristotele ipotizzò un angolo di riflessione costante anche se, non conoscendo la geometria, non ne determinò il valore. In ogni caso da quelle sue osservazioni si potevano già dedurre alcune cose:
se l’osservatore fosse sospeso in aria, riuscirebbe a vedere un cerchio completo (e questo è ciò che effettivamente succede guardando il fenomeno da un elicottero)
se l’osservatore volesse precipitarsi a prendere la pentola piena d’oro sepolta all’inizio dell’ arcobaleno ( o era la fine?), si rassegni. Essendo parte integrante del fenomeno, l’arcobaleno si muove con lui. Impossibile quindi raggiungerne i confini.
Aristotele notò, inoltre, che era più facile vedere il fenomeno al mattino o a tarda sera e mi sembra, tutto sommato, che fosse davvero un buon osservatore!
Questo video (in inglese ) spiega benissimo il tutto.
Come al solito le sue idee andarono per la maggiore per un sacco di tempo : 17 secoli!
lo stesso Dante dice:
“e come l’aere, quand’è ben piorno,
per altrui raggio che’n sé reflette,
di diversi color diventa addorno;”
(Dante, Purgatorio, XXV, 91-93)
Fu un monaco tedesco, Teodorico di Freiberg, che nel 1304 si mise d’ impegno per perfezionare la teoria di Aristotele, ricorrendo all’esperimento. Teodorico non era convinto che il fenomeno fosse generato dalla riflessione collettiva delle gocce di una nuvola , ma ipotizzò che fosse piuttosto ogni singola goccia in grado di generare un proprio arcobaleno.
Si costruì così modello di una goccia di pioggia, utilizzando una bottiglia sferica, che riempì d’acqua. In questo modo riuscì a seguire il percorso della luce all’interno del suo gigantesco gocciolone. Teodorico però non aveva il fascino di Aristotele e le sue idee
furono ignorate. Passarono altri tre secoli prima che Cartesio riscoprisse ex novo questa teoria e spiegasse l’arcobaleno in termini di rifrazione e diffusione della luce in ogni singola goccia. Newton poi, si occupò poi, di spiegarne i colori.“Quando un raggio di luce solare colpisce la goccia d’acqua, parte della luce viene riflessa e parte rifratta per effetto del cambiamento di indice di rifrazione fra aria e acqua. Quando la luce giunge nella parte posteriore della goccia, il fenomeno si ripete (Fig 1 a sinistra). Il raggio riflesso all’interno della goccia, ritorna verso la superficie anteriore e parte di esso esce all’esterno, subendo di nuovo una deviazione. Questa è la luce che arriva all’osservatore che deve volgere le spalle al sole.L’angolo formato dal raggio icidente sulla goccia e quello emergente dipende dal parametro d’impatto che è la distanza tra il raggio di sole e l’asse della goccia. Cartesio, applicando semplicwmente le leggi della riflessione e della rifrazione , dimostrò che esiste un valore del parametro d’impatto per la luce emergente è massima: quest’angolo è di 42°
Perciò chi guarda vede un arco splendente, che passa per tutti i punti della volta celeste, che, congiunti da una parte col sole e dall’altra con l’osservatore, danno qust’angolo.
In questo modo ogni osservatore vede il suo arcobaleno e, se sta viaggiando , l’arcobaleno si muove con lui.” ( Andrea Frova 1984).
E il colore? Qui entra in gioco Newton. Se il raggio di luce rossa ha la sua massima luminosità a 42°, quello violetto l’ha a un angolo lievemente inferiore; tutti gli altri colori sono intermedi rispetto a questi due, con il risultato che la luce bianca è dispersa nei colori dell’iride, un po’ come avviene nel prisma.L’arco secondario che accompagna l’arcobaleno e che appare più debole è dovuto ad una ulteriore riflessione all’interno della goccia e questa volta l’angolo formato con il raggio di sole è di 50°. L’arco apparirà quindi più in alto, con i colori invertiti (come risulta applicando le leggi dell’ottica) e sicuramente meno luminoso dell’arco primario.
Avete mai notato quella zona scura tra i due arcobaleni? Il primo che l’osservò fu Alessandro d’Afrodisia nel II-III sec a.C. e in suo onore quella è chiamata ” zona d’Alessandro. La sua esistenza può essere ancora una volta spiegata con il fatto che i raggi di sole emergenti tra 42° e 50° sono molto deboli e quindi la zona ci appare scura.
Naturalmente non è tutto qui. Queste teorie non spiegano gli archi secondari, che a volte appaiono all’interno dell’arco primario e, per farlo, dovremmo ricordare Young e i fenomeni d’interferenza.
Riporto alcuni passi della voce arcobaleno di Wikipedia
“I fiochi archi alternati sono provocati da interferenze tra i raggi di luce che seguono percorsi leggermente diversi con lunghezza d’onda leggermente diverse all’interno delle gocce di pioggia. Alcuni raggi sono in fase rinforzandosi l’un l’altro attraverso una interferenza costruttiva, creando una banda molto luminosa; altri sono fuori fase fino a mezza lunghezza d’onda, cancellandosi a vicenda attraverso interferenza distruttiva, creando un buco. Data la differenza tra gli angoli di rifrazione per raggi di diversi colori, i modelli dell’interferenza sono leggermente diversi per questi ultimi, così ogni banda luminosa è differenziata nel colore, creando un arcobaleno in miniatura. Gli arcobaleni supernumerosi sono meglio visibili quando le gocce di pioggia sono piccole e di dimensioni simili. L’esistenza reale di tale tipo di arcobaleno è stato storicamente un primo indizio della natura ondulatoria della luce e la prima spiegazione fu fornita da Thomas Young nel 1804.”
A questo punto, la fisica dell’arcobaleno si complica notevolmente: è il momento di cambiare prospettiva e di dare uno sguardo agli altri arcobaleni … quelli dipinti e cantati
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